A volte ritornano. Dopo quarantaquattro anni la Procura di Macerata ha riaperto il giallo dei Sibillini, cold case numero 2736/1980: la misteriosa morte di Jeannette Bishop May, già baronessa de Rothschild, 42 anni, e dell’assistente Gabriella Guerin, 40 anni. Il 29 novembre 1980 sparirono in una bufera di neve da Sarnano, nel Maceratese. Quattordici mesi dopo, il 27 gennaio 1982, i loro cadaveri (scheletri azzannati dai cinghiali) furono trovati da due cacciatori in un bosco a Podalla di Fiastra, a chilometri e chilometri di distanza. Furono uccise, secondo la Procura. L’indagine è per duplice omicidio. Ecco che cosa ci ha detto in un’intervista – l’11 aprile 2023 – il colonnello Salvatore Forte, che indagò a lungo sul caso con l’allora giudice istruttore del tribunale di Camerino, Alessandro Iacoboni.
L’intervista all’investigatore
La chiave del giallo è in una domanda senza risposta da quarant’anni e più. "Perché in una sera di novembre due donne in gonna e scarpe da passeggio a bordo di una Peugeot nera avrebbero dovuto inerpicarsi sui tornanti di una strada sperduta dell’Appennino andando incontro a una bufera di neve?".
Era il 29 novembre 1980 e da allora il colonnello Salvatore Forte, una vita in divisa nei reparti speciali dell’Arma (dai carabinieri paracadutisti del Tuscania fino a capo operazioni del nucleo elicotteristi di Ancona), poi comandante della compagnia di Camerino, oggi alla guida di un grande gruppo di vigilanza, non sa sciogliere il mistero. Non ci è riuscito nessuno. Ci ha provato l’allora giudice istruttore del tribunale di Camerino, Alessandro Iacoboni. Ci hanno provato gli investigatori di mezzo mondo. La morte di Jeannette May, già baronessa de Rothschild, 42 anni, nobildonna dei salotti romani (divorziata dal rampollo della dinastia di ricchi banchieri), e dell’assistente Gabriella Guerin, 40 anni, resta un enigma. Sparite da Sarnano, nel Maceratese, in una bufera di neve. Trovate da un cacciatore: cadaveri, scheletri azzannati dai cinghiali, quattordici mesi dopo, il 27 gennaio 1982, in un bosco di querce e ginestre vicino a un laghetto, a Podalla di Fiastra, a chilometri di distanza. In mezzo, il buio. Morirono assiderate per un intreccio perverso di avversità e sfortunate coincidenze, come concluse una prima inchiesta, oppure c’è dell’altro, come cercò di scoprire (invano) il giudice Iacoboni?
Forse, colonnello Forte, quel 29 novembre dovevano incontrare qualcuno? Qualcuno di più importante del contadino dal quale Jeannette aveva acquistato una casa colonica da ristrutturare a Schito, dato che all’appuntamento, nel pomeriggio, non si presentò.
"Beh, non c’era altra ipotesi, almeno allora. A un certo punto devono pure aver visto che iniziava a nevicare. Due donne sole in auto verso la montagna di sera (per l’ultima volta furono notate in piazza, a Sarnano, verso le 19). Se non hai un appuntamento, e importante, che vai a fare?"
Già, ma con chi?
"Se lo sapessimo, avremmo già scelto una pista e risolto il mistero: incidente oppure omicidio".
Diciotto dicembre del 1980, diciannove giorni di neve, cielo di pietra e due donne scomparse, l’allarme dato dai gestori dell’hotel. Che succede?
"Il giorno della scomparsa ci allertano i carabinieri di Tolentino. Facciamo una ricognizione in elicottero, ma c’era una tormenta di neve. Torniamo nei giorni successivi e perlustriamo la zona a cerchi concentrici. Il 18 uno squarcio tra le nubi, giù una macchia nera riflette per un attimo la luce. Grido al co-pilota: guarda quel rettangolo nero in basso. Era il tettino dell’auto, sepolta sotto un paio di metri di neve. La Peugeot 104 nera targata Siena era sulla strada all’altezza di un curvone, chiusa, senza segni scasso, le ruote sull’asfalto e benzina nel serbatoio".
La località è Fonte Trucchia di San Liberato, 900 metri di altezza, vicino casa Galloppa.
"La baita dove le due donne hanno cercato riparo, c’erano loro tracce. Era stata forzata la porta. Avevano acceso il fuoco e mangiato qualcosa trovato nella dispensa. C’erano resti di un soggiorno veloce. Un paio di giorni, i rilievi stabilirono così".
L’epilogo il 27 gennaio 1982 col ritrovamento dei corpi dilaniati dagli animali. Mancavano ossa del collo e del cranio: fu impossibile accertare segni di violenza, strangolamento o colpi d’arma da fuoco.
"No, in quelle condizioni non si poté assolutamente stabilire la causa della morte e fu un vulnus per l’inchiesta. Resta comunque il luogo, una zona impervia, troppo distante dall’auto. Impossibile pensare che siano arrivate fin lì a piedi sotto la tormenta di neve. E poi perché proseguire invece di tornare indietro? Persero l’orientamento? Da qui l’ipotesi che qualcuno le abbia uccise e poi si sia liberato dei cadaveri, scaricandoli lontano".
Come riconosceste i corpi?
"Da catenine e dall’orologio al polso della baronessa, un Omega da donna automatico con un cerchio celeste sul quadrante".
A proposito, è vero che era fermo al 12 dicembre 1980?
"Sì, dai rilievi emerse che l’autonomia della carica dell’orologio era di un giorno e mezzo circa. La baronessa forse restò in vita fino al 10 o all’11 dicembre".
Il confine delle certezze è fin troppo labile. Accadono cose strane. Spunta un telegramma ricevuto dalla baronessa in hotel. Chi l’ha spedito (si firma con uno pseudonimo) le dà appuntamento in un appartamento romano. Occhio alle date: il 30 novembre 1980, a Roma, ignoti svaligiano la casa d’aste Christie’s. Anche il direttore riceve un telegramma: se vuole riavere la refurtiva, deve presentarsi allo stesso indirizzo dato alla baronessa. Coincidenze? Il 16 settembre 1982, a Londra, trovano morto l’antiquario romano Sergio Vaccari, 47 anni. Cranio fracassato e quindici coltellate per un omicidio finito anche nelle indagini sul caso Calvi. Nella sua casa spuntano foto di un orologio rubato da Christie’s. Tanto basta perché nelle Marche arrivi Scotland Yard, ma è un buco nell’acqua. Come la storia del commerciante di diamanti brasiliano, arrestato nel 1981 e rilasciato dopo qualche settimana.
Iacoboni dichiarò che nell’inchiesta era finito di tutto.
"Alla fine del 1989 depositò una sentenza-pilota di archiviazione, fu la prima sentenza ‘aperta’ nella quale si prendevano in esame tutte le piste, dall’incidente fino al duplice omicidio".
Poi c’è la storia di Valerio Viccei di Ascoli, l’ex Nar che nel 1987 a Londra diventa il "rapinatore del secolo" dopo il colpo al Knightsbridge deposit centre: bottino da 60 miliardi, recuperati solo in minima parte dagli inglesi. Nel 1993 dirà a un giornale che il suo compito era di trafugare anche documenti appartenuti a Calvi e non ritrovati dopo la morte.
"Anni dopo, nel 1997, il procuratore di Camerino, Erminio Mura, mi mandò a interrogarlo nel carcere di Pescara per accertare eventuali collegamenti con il caso della baronessa. Viccei mi disse: le do la mia parola che quando avrò finito di scontare la pena, mi metterò in contatto con lei e le racconterò tutto, ma per ora non posso dire niente". Uscito dal carcere, il 18 aprile del 2000, Viccei morì in un conflitto a fuoco con la polizia stradale tra Castel di Lama e Pineto.