Sarnano (Macerata), 25 novembre 2024 – Il 6 dicembre 1980 alla pensione Ai Pini di Sarnano arriva uno strano telegramma: “Attendoti Tito Livio 130 interno 3, Roma”. Firmato Roland, mittente Peppo, Po 55 Roma, destinataria Jeanine May. Che però è già sparita da sette giorni (il 29 novembre) sui Sibillini con l’assistente Gabriella Guerin a bordo di una Peugeot 106, mentre fuori infuria una tempesta di neve, e non tornerà più. Tre giorni prima ne è stato recapitato un altro al direttore della casa d’aste Christie’s di Roma, svaligiata nella notte tra 30 novembre e primo dicembre. Colpo milionario: per la refurtiva recatevi in via Tito Livio 130, int. 3. Stesso indirizzo, firma anonima, Roderigo, che detta da via Po 45. Mesi dopo un misterioso telefonista contatterà la redazione del Daily Mail per dare la notizia dei telegrammi – nota solo agli inquirenti –, qualificandosi come Ian Sayer e indovinando addirittura il recapito telefonico di quest’ultimo in un hotel di Innsbruck. È il prologo di una sciarada che in un groviglio di corvi, depistaggi, misteri e mezze verità dopo quarantaquattro anni nessuno è riuscito a risolvere, cold case 2736/1980, la morte di Jeannette Bishop May e dell’assistente Gabriella Guerin.
I cadaveri dilaniati dai cinghiali furono trovati il 27 gennaio 1982 a Podalla di Fiastra, a quasi dieci chilometri dall’auto su cui viaggiavano le due donne, ferma sulla strada Santa Maria Maddalena-Acquacanina. Fu duplice omicidio, per la Procura di Macerata, che ha riaperto l’inchiesta. “La scelta del decreto di non doversi promuovere azione penale non consegue all’inesistenza di ipotesi criminose, ma solo alla non raggiunta prova generica di esse”, scrive nella sentenza di archiviazione il giudice del tribunale di Camerino, Alessandro Iacoboni. Per lui, le donne non morirono assiderate in una bufera di neve per un intreccio di sfortunate coincidenze, come aveva concluso la prima inchiesta. Era il 1989 ed ecco le carte della sentenza che abbiamo recuperato in tribunale.
TELEGRAMMI E TELEFONISTA
In via Tito Livio andarono i carabinieri, trovarono droga ma non altro, e sulle prime maturò l’ipotesi che a spedire i telegrammi fosse stata una peruviana per farla pagare alle affittuarie con cui aveva litigato. Per Iacoboni, una ricostruzione difficilmente compatibile, specie per la comparsa del misterioso telefonista, che non la conosce ma sa tutto e chiama in causa Sayer (che invece nega), inglese che si occupa di consegne di antiquariato per conto di Christie’s. Via Tito Livio è un incrocio di coincidenze. Le indagini accertano che ci vive un ex cancelliere della pretura di Roma cui era stato affidato il compito di fare l’inventario dell’eredità della marchesa Maria Sofia Giustiniani Bandini, compresi arredamenti e quadri del castello di Lanciano, a Castelraimondo, ed era finito a processo perché accusato del furto di alcuni oggetti. In via Po abitava, annota Iacoboni, l’allora direttore tecnico della Christie’s, poi arrestato perché in casa sua furono trovate armi non denunciate e droga. Opere d’arte rubate, strani traffici, una zona grigia di antiquari e collezionisti. È questo il mondo di mezzo che pericolosamente sfiora la vita di Jeannette?
MORTE DI SERGIO VACCARI
L’antiquario legato al caso Calvi, pugnalato a morte a Londra il 16 settembre 1982, entra in questa storia quando Scotland Yard perquisisce una cassetta di sicurezza di suo possesso e spuntano foto di oggetti rubati da Christie’s. Testimoni e rapporti di polizia confermano che dalle sue mani era passato parte del bottino. A Londra i carabinieri sentono anche il giornalista Charles Raw, avvicinato anni prima da un individuo che aveva avuto rapporti con Vaccari. È lui che giura di avere visto una foto di Jeannette e una del banchiere di Dio in un borsone nell’auto dell’antiquario. La baronessa e Vaccari si conoscevano? Forse, ma non è certo.
LA RICOSTRUZIONE
Ma intanto le indagini procedono anche a Sarnano e traballa la ricostruzione della gita in montagna di due sprovvedute che in auto vanno incontro alla bufera. Si scopre che quel 29 novembre la Peugeot fa avanti e indietro sulla strada per Sassotetto un numero imprecisato di volte. Si scopre che alle 21.30 la strada La Maddalena-Acquacanina era sgombra malgrado la nevicata (riferisce un cantoniere) e che dunque le due donne non dovettero fermarsi perché si trovarono davanti un muro di neve. E allora perché? E ancora si scoprono tracce del loro passaggio da baita Galloppa, rifugio poco distante, dove ci sono legna e sedie bruciate, piatti sporchi d’olio, capelli di Jeannette nel lavandino. E una forchetta infilata nella tasca della giacca addosso al cadavere della Guerin.
COSA NON TORNA
Podalla è distante quasi 10 km ed è nella direzione opposta. Perché non tornare indietro alle avvisaglie di bufera? E perché avventurarsi nella neve alta due metri invece di restare in luogo sicuro? No, per Iacoboni la storia delle disperate che perdono l’orientamento e si infilano in un canalone morendo assiderate a pochi metri l’una dall’altra regge a fatica. È vero che dagli esami di quel che resta dei cadaveri non emergono le tracce di morte violenta, ma è vero pure che niente prova l’assideramento. Un veterinario racconta di essere sceso più volte nel canalone dove furono trovati i corpi, ma di non avere notato mai nulla. Sentenzia Iacoboni: “La prova in positivo dell’assassino non esiste, ma è altrettanto certo che è ben lontana dall’essere raggiunta la prova sicura o solo probabile della morte bianca”.