Quando nel 1954, all’età di 49 anni, dovette arrendersi alla malattia, lasciando orfani tre figli in tenerissima età, il maceratese Bruno Arzeni aveva già impresso la propria orma nella cultura italiana e tedesca. "Nell’esprimere il rammarico per l’insostituibile perdita", la germanista Lavinia Mazzucchetti, consulente della casa editrice Mondadori, scrisse "di interpretare anche la viva gratitudine dello scrittore Thomas Mann, il quale da tempo aveva misurato i meriti del suo tanto modesto mediatore". Il "modesto mediatore" era, appunto, Bruno Arzeni, che tra il 1948 e il 1954 aveva tradotto in italiano molte delle maggiori opere dell’autore tedesco, oltre che di Johann Wolfgang Goethe ed Hermann Hesse.
Negli anni ‘30 Bruno Arzeni era stato lettore di italiano ad Erlangen e poi docente di letteratura italiana all’università di Monaco di Baviera, nonché traduttore in tedesco di opere di scrittori italiani, tra cui Luigi Pirandello. A Monaco conobbe Helga Steinmeyer con la quale nel 1941 si unì in matrimonio, celebrato a Macerata nella Basilica della Madonna della Misericordia. Costretto dalla malattia a rientrare definitivamente in Italia, Bruno e sua moglie si stabilirono nella "casa sul poggio", presa in affitto in contrada Due Fonti, tra Macerata e Villa Potenza. Germanista, saggista, traduttore e poeta, Bruno Arzeni dopo la morte è caduto nell’oblio.
Di recente il medico oculista Massimo Tallei si è ispirato a lui per il romanzo "Il poggio incantato" (riferimento alla casa della campagna maceratese dove Arzeni visse), presentato lo scorso autunno all’Università di Macerata per iniziativa della professoressa Maria Paola Scialdone. Poco prima di Natale Bruno Arzeni è stato ricordato alla Biblioteca di storia moderna e contemporanea di Roma, alla presenza di Flavia Arzeni, figlia primogenita del poeta, che ha lavorato in Germania e per molti anni è stata docente di letteratura e cultura tedesca all’università La Sapienza di Roma.
Professoressa Arzeni, perché suo padre è rimasto a lungo nell’oblio per gli stessi maceratesi?
"In parte perché nella sua epoca la comunicazione non era quella di oggi, ma soprattutto perché a causa della malattia fu costretto a vivere come un eremita, lontano dagli ambienti culturali della città. Il suo unico amico era il musicista Livio Liviabella, che abitava poco distante dalla nostra casa".
Però non tutti si sono dimenticati di Bruno Arzeni.
"L’uscita dal cono d’ombra la si deve vent’anni fa a Silvano Ciccarelli, altro vicino di casa, che mio padre aveva aiutato a studiare e che in seguito ha fatto molto per onorarne la memoria. Il merito va inoltre al maceratese Romano Ruffini, che nel 2008 ha scritto una documentata biografia di mio padre, pubblicata con il sostegno della Fondazione Carima e due anni più tardi ne ha curato, in tre volumi, la raccolta completa delle circa quattrocento poesie. Ora il merito va anche a Massimo Tallei con questo suo romanzo (edito da Affinità elettive di Ancona, ndr) ispirato alla vicenda biografica, intellettuale e umana di mio padre".
Cosa ha provato nel leggere il romanzo?
"Sono rimasta favorevolmente stupita della narrazione e soprattutto di come Tallei sia riuscito ad entrare nell’animo di mio padre e nella vulcanica personalità di mia madre".
Il libro le rievoca sensazioni della sua infanzia?
"Tante. Belle, ma anche dolorose. Malato di tubercolosi, mio padre era costretto ad isolarsi nel suo studio ed io e mio fratello Sergio – mia sorella Patrizia è nata pochi mesi prima che lui morisse – potevamo stare con lui solo all’aperto. Ho una foto di quando avevo sei anni, che mi ritrae in giardino insieme a mio padre, che mi abbraccia. Lui ha il volto scavato dalla sofferenza, ma sorridente ed entrambi siamo chini su di un libro. Una foto che simboleggia la sua lotta contro la malattia, il suo profondo legame con gli affetti familiari e la sua dedizione alla letteratura".
Quanto la malattia ha condizionato l’opera poetica e letteraria di suo padre?
"L’ha condizionata enormemente. La malattia lo costrinse a lasciare l’insegnamento e la poesia lo ha aiutato ad andare avanti".
Oltre alla letteratura tedesca cosa la unisce a suo padre?
"La sensibilità per il mondo della natura e la dimensione spirituale. Come lui amo molto il poeta Herman Hesse ed in particolare una poesia, “Tutte le morti”, in cui si parla di rinascita. Da diversi anni mi dedico a disegni, fotografie ed installazioni a soggetto naturalistico e nelle mie opere figurative rileggo anche i versi di mio padre. È un dialogo continuo con lui".