"I geologi come Cassandra". Piero Farabollini, presidente Dell’ordine per le Marche (ex commissario alla ricostruzione) spiega come le preoccupazioni della sua categoria, rimaste inascoltate, si siano poi verificate. E invita il governo a fare scelte "impopolari, ma necessarie".
Dissesto idrogeologico: quali sono le zone della provincia di Macerata più a rischio?
"Il dissesto idrogeologico è una delle questioni più delicate e mai affrontate seriamente. Molte sono le aree con una particolare vulnerabilità. Basti pensare a quelle che, in caso di maltempo, vengono sistematicamente inondate o allagate: le piane alluvionali dei fiumi Potenza e Chienti, soprattutto nella media e bassa valle. Come non ricordare poi Sambucheto, che ha visto nel 1998, nel 2000, nel 2004, fino al 2023, eventi di inondazione da parte del fiume Potenza. Altrettanto analoga la situazione che ha coinvolto il fosso Narducci a Sforzacosta. Per non parlare di Civitanova, Porto Recanati e Potenza Picena. L’abitato di Castello di Fiuminata e l’abitato di Sefro, nell’evento che ha interessato la valle del Misa-Nevola nel settembre 2022, ha visto l’attivazione di fenomeni franosi (debris flows) che hanno coinvolto le abitazioni con danni ingenti. Evidenze che testimoniano come oramai non possiamo più parlare di eccezionalità ma di normalità, vista la ricorrenza. Una normalità da accettare e affrontare con una pianificazione strategica".
Tante problematiche potevano essere evitate?
"Sì. Di fronte all’evidenza di un territorio fragile, siamo riusciti a far sì che la normalità si trasformasse in emergenza. Questo per l’incuria del territorio, l’abbandono della montagna, dei boschi e delle aree interne e soprattutto con l’utilizzo improprio delle piane alluvionali e degli spazi di pertinenza fluviale. E, a valle, per una cementificazione e uno sviluppo urbano fuori controllo. È in questo scenario che si inserisce il cambiamento climatico, che amplifica fenomeni con cui il nostro Paese si confronta da sempre. Deve essere posta un’attenzione particolare al territorio, attraverso un attento monitoraggio dei processi che coinvolgono montagne, versanti, e corsi d’acqua. Forse la creazione di un "presidio territoriale geologico" potrebbe adempiere a tale compito con la possibilità di intervenire prima che l’evento meteorico, violento o normale che sia, possa produrre danno".
I geologi vengono adeguatamente coinvolti?
"I geologi purtroppo vengono chiamati ogni volta che il danno è fatto. Non siamo ascoltati: non ci ascolta il governo, non ci ascoltano le istituzioni. Siamo diventati una specie di Cassandra. Non è stato fatto nulla di tutto quello che i geologi avevano proposto".
Lei ha detto: "Il governo abbia il coraggio di scelte necessarie, anche se impopolari". Quali sono?
"Il cambiamento climatico ci impone l’obbligo di cambiare mentalità, avere il coraggio di entrare in una nuova fase, fatta anche di scelte difficili. Una di queste è l’obbligo di delocalizzazione nelle aree a maggior rischio idrogeologico e sismico. Non si può ricostruire nelle aree alluvionali o dove l’edilizia anti-sismica sarebbe poco efficace per la conformazione del terreno. La pianificazione deve tenere conto delle criticità idrogeologiche del territorio; è necessario assegnare un ruolo chiave alle professioni tecniche – i geologi in particolare – in questi delicati passaggi, che segnano il futuro di intere porzioni di città. Prevenzione significa agire in tempi di "pace". Sappiamo bene cosa significa convivere sia con il rischio sismico che con quello idrogeologico. Le alluvioni si potrebbero evitare con una corretta manutenzione degli alvei: non però con gli interventi isolati cui spesso assistiamo, bensì dalla sorgente alla foce".