
di Lorenzo Monachesi
"Ricordo che a 5-6 anni andavo a letto con il pallone". Il calcio ha segnato la vita di Osvaldo Jaconi, dapprima come giocatore e poi da allenatore capace di conquistare 11 promozioni, un record. "Quando ho allenato in una categoria superiore – ricorda il tecnico nato nel 1947 –, è perché l’ho conquistata con quella squadra, così è stato in B con il Casteldisangro e con il Savoia, mentre con il Livorno ho deciso di non proseguire".
Qual è stata la soddisfazione che le ha dato il calcio nella veste di tecnico?
"Essere riuscito a dare qualcosa a chi magari sapeva di non averlo ed è poi diventato qualcuno".
Per esempio?
"Bonomi, Fusco e Martino che avevo nel Casteldisangro e hanno giocato in A. Ricordo un giovane Masiello, ora al Genoa, che ho inserito nella prima squadra della Lucchese, poi Giorgio Chiellini che a 16 anni ho preso dalla formazione Allievi e portato nella prima squadra del Livorno. Con molti miei ex giocatori sono tuttora in contatto".
Lei è nato a Mandello del Lario e poi ha giocato e allenato in molte città. Cosa l’ha spinta a stabilirsi a Civitanova? Forse sua moglie è di qua?
"Claudia è di Seregno. La decisione è stata presa quando le due figlie andavano a scuola, avevano le loro amicizie e poi obiettivamente a Civitanova si sta bene".
Non le manca Mandello?
"Si fa fatica a dimenticare le proprie origini, ho parenti anche se purtroppo della mia famiglia sono rimasto solo io. L’anno scorso con mia moglie avevamo pensato di andare a trovare i parenti, ma non è stato possibile per la pandemia".
Sua moglie le è stata sempre vicina nel suo peregrinare da tecnico?
"Avevo 25 anni e lei 22 quando ci siamo sposati, lei mi è sempre stata vicina. Ogni volta portavo la famiglia dove allenavo fino a quando la figlia più grande non ha frequentato le Superiori. Quando giocavo stavamo in affitto, poi abbiamo deciso di acquistare l’abitazione".
Quando ha deciso che avrebbe continuato a restare nel calcio, ma dalla panchina?
"L’idea era rivolta sempre verso questo tipo di attività e ne ho parlato anche con mia moglie. Ricordo che negli ultimi anni da calciatore prendevo appunti sugli allenamenti dei vari tecnici che ho avuto. Alla fine ho scelto di dedicarmi soprattutto agli ultimi 15 centimetri di un giocatore, cioè alla testa. Certo, bisogna sapere di tecnica e di tattica, ma innanzitutto c’è da capire l’uomo prima ancora dell’atleta. Così ogni volta che andavo ad allenare era un’occasione per imparare e sapere come approcciarsi, come parlare, come correggere ogni singolo giocatore perché ognuno di noi è diverso dall’altro sul piano psicologico".
Lei ha allenato il Casteldisangro e ha avuto modo di conoscere Gabriele Gravina, qual è il suo ricordo dell’attuale capo del calcio italiano?
"Quello di un uomo serio, capace, onesto. Il calcio è guidato da una persona a modo".
Qual è stata la piazza più esigente in cui ha lavorato?
"Quelle dove si doveva vincere e comunque ho centrato obiettivi sia al nord che al sud. Dico Savoia, Livorno e Civitanova. Anzi ho avuto la fortuna di essere l’unico nella storia della Civitanovese ad avere vinto sia da giocatore sia da allenatore".
Che giocatore è stato?
"Ero un centrocampista con due doti: un bel tiro dalla distanza e una resistenza che mi permetteva di di giocare per 90 minuti. Ho iniziato a Seregno, poi sono andato a Lecco dove ho giocato dalla Primavera alla prima squadra, togliendomi la soddisfazione di calcare campi di serie A. Poi sono stato a Teramo, Brindisi, Riccione, dal 1978 al 1981 alla Civitanovese dove ho chiuso la carriera da calciatore".
Giocatore o allenatore, cosa sceglierebbe?
"Farei per mille anni il calciatore. Mi piaceva troppo, amavo stare in mezzo al campo, avere a che fare con l’avversario, cercare di superarlo, di creargli problemi: tanti aspetti che mi entusiasmavano".
Quanti derby ha giocato?
"Tanti. Contro il Giulianova quando ero a Teramo, contro il Como quando stavo a Lecco e poi quelli con la Maceratese. Ricordo quando nel 1980 all’ultimo istante su mio lancio Morra segnò il gol della vittoria, ma ricordo anche quando nel 1981 perdemmo all’Helvia Recina con il gol di Morbiducci".
Le manca non avere allenato in A?
"Non mi manca. E poi sa cosa le dico, è stata solo colpa mia perché non ho fatto in modo di essere chiamato da un club della massima serie".