Ultimamente ho letto vari articoli su quotidiani nazionali e post pubblicati sui social, che mi hanno meravigliato per la furbizia con cui vengono spiegate delle finte realtà o quantomeno delle visioni parziali sul nostro sistema fluviale, che giustificano in parte quanto non è stato fatto dalle Istituzioni Pubbliche in questi ultimi 20 – 25 anni. Che la vegetazione svolga un ruolo fondamentale per la tutela dell’ambiente, nel senso più ampio del termine, è ovvio credo un po’ per tutti noi. Ma il problema però va affrontato a 360°. Dire che la vegetazione svolge una tutela sulla stabilità degli argini fluviali è vero. Dire che la vegetazione svolge un’attività di regolamentazione del deflusso delle acque superficiali è vero, rallentando la velocità dell’acqua, diminuendo l’erosione, filtrando, ombreggiando i corsi d’acqua stessi, tutto vero… Ma il problema allora qual è? Perché ci sono state 4 inondazioni in un anno e mezzo? Colpa dei cambiamenti climatici, ovviamente. Bombe d’acqua, come mai viste prima, forse. Del cambiamento climatico però sono anni che se ne parla e, quindi se ad oggi è stato fatto solo poco o niente, la colpa oltre che essere di tipo climatica è anche e soprattutto di tipo politica (probabilmente, ad essere buoni, sono stati sottovalutati questi tipi di problemi). Esaminiamo ora per un attimo la Pianura Padana, dove si sono verificate le ultime inondazioni. Tutti i corsi d’acqua compreso il Po, sono incanalati dentro argini artificiali, i quali in molti casi si sono dimostrati inadeguati durante le piene. Questi corsi d’acqua in pianura (e anche in collina e montagna), non possono definirsi naturali, perché sono snaturati rispetto alle loro condizioni originali. Le cause quindi di questa situazione che si è venuta a creare, va ricercata in una insufficiente pianificazione territoriale e fluviale, che non ha tenuto conto delle complessità, sia naturali che antropiche, che entrano in gioco durante fenomeni meteorologici di forte intensità; anche se per la verità, nei vari piani di bacino erano già state individuate da anni delle criticità nel reticolo fluviale. Abbiamo costruito e continuiamo a costruire edifici a ridosso di questi argini. Abbiamo impermeabilizzato in Emilia Romagna una quantità di suolo in aree soggette a rischio idrogeologico (vedere i dati ISPRA), superiore a tutte le altre regioni d’Italia, senza avere previsto l’esecuzione di opere di laminazione. Senza avere realizzato tutte le casse di espansione già previste da anni, con una serie di ponti inadeguati che fungono da veri e propri tappi durante ogni piena, raccogliendo tutte le ramaglie e tronchi trasportati dalle acque; e poi, si viene a dire, da parte di qualche associazione, che non bisogna fare la pulizia e la raccolta della vegetazione caduta? Casomai, in alcune aree montane questo può anche andare bene per un certo verso, ma nelle aree di pianura, all’interno di questi corsi d’acqua canalizzati e snaturati, non può andare certamente bene. Per avere un deflusso regolare e costante, bisogna che gli alvei siano aperti e puliti e, nel caso di certi e critici tratti fluviali (per cambi di pendenza e/o restringimenti vari), bisognerà provvedere anche alla realizzazione di ulteriori casse di espansione. Basta con le emergenze e basta con le speculazioni politiche. Bisogna muoversi adesso, anche se siamo già in ritardo di anni.
Daniele Magagni (Ex Geologo della Città Metropolitana di Bologna)