Imola, 29 ottobre 2015 - «QUANDO mi hanno chiesto di mettere mano al Colosseo quadrato non ci credevo. Insomma, è un monumento, è del Ministero. Ho capito che era vero solo quando, con le chiavi in mano, ci ho messo piede dentro». E venerdì scorso l’edificio simbolo dell’Eur è tornato a nuova vita, proprio grazie al genio e al lavoro dell’architetto imolese Marco Costanzi e del suo studio: Fendi ne ha fatto il suo quartier generale, firmando un contratto d’affitto di circa 230mila euro al mese per 15 anni.
Commissionato per l’Esposizione universale di Roma del 1942, fu progettato da un trio di architetti: l’imolese Giovanni Guerrini, Ernesto Lapadula e Mario Romano. Oggi, a oltre mezzo secolo di distanza, dopo sei mesi di progettazione e un anno e mezzo di lavori, un altro imolese lo ha riportato al centro delle cronache di tutto il mondo.
Architetto, una curiosa simmetria.
«Sì, ho visitato la casa romana di Guerrini, professionista eclettico e una vera fucina di idee. Facendo ricerche, è emerso che il progetto iniziale dei tre architetti era diverso e, alla fine, non lo avrebbero riconosciuto. Le scritte sulla sommità non erano previste, le statue avevano un’altra collocazione e anche le arcate dovevano essere doppie rispetto alle attuali. Furono imposte da Mussolini e sembra che di malavoglia continuarono a seguire la realizzazione dell’opera».
Opera che però adesso porta un’altra firma imolese. Com’è nato il suo rapporto con Fendi?
«Da anni opero nel settore retail e dell’abbigliamento, e mi chiamarono per realizzare il loro nuovo showroom all’ex Fondazione Pomodoro, a Milano. Il progetto durò un anno, poi l’amministratore delegato mi parlò del Colosseo quadrato».
E...
«Non si pensavo si potesse. Fendi voleva riunire all’Eur le due sedi che aveva a Roma, in zone diverse, facendone il proprio quartier generale».
Come ha trovato l’immobile?
«Completamente vuoto, senza impianti e quindi senza utenze, ma in ottimo stato di conservazione dei muri. Eur aveva già investito nella statica, restaurato le quattro facciate e inserito due ascensori. Doveva essere la sede della Discoteca di Stato, un ente poi cancellato da Monti, ma di fatto quei 20mila metri quadrati (sei piani visibili, un interrato, uno dietro le scritte e un terrazzo, ndr) non erano mai stati utilizzati da nessuno».
Ci parli del progetto.
«E’ stato un briefing iniziale complicato. Al Colosseo quadrato dovevano starci 500 dipendenti, con mansioni completamente differenti tra loro, da un piano di avvocati a uno di pellicceria. Tutto open space, a causa dei vincoli architettonici e gli unici uffici che ci sono sono per i dirigenti, ma con le pareti rigorosamente in vetro trasparenti».
L’idea era piaciuta subito?
«Niente affatto. Un sondaggio iniziale in azienda vedeva il 70% dei dipendenti contrari, sia per la zona decentrata che per l’assenza di uffici e privacy. Adesso però l’ultima indagine ha ribaltato il risultato e un effetto l’open space l’ha ottenuto: si parla a voce bassa».
La sede però è anche aperta al pubblico.
«Sì, il piano d’ingresso, ogni giorno dell’anno e, in linea con lo spirito iniziale del Palazzo della civiltà italiana, ospiterà mostre di artisti selezionati dal comitato scientifico che si è costituito in Fendi. L’accesso è gratuito e il primo giorno ci sono stati 400 visitatori, il giorno 1.500».