
di Gabriele Tassi
C’era una volta una bicicletta capace, a ogni pedalata, di produrre bolle di sapone. A decenni di distanza si era già scritto un po’ di futuro di Cicli Cinzia e di Dulcop in quella invenzione pensata per far sognare i più piccoli. L’immagine di un futuro in cui la fabbrica di biciclette di Osteria Grande e quella di bolle di sapone di Idice si sarebbero incontrate. Destini incrociati oggi nella realtà: "Abbiamo da poco concluso l’accordo preliminare – spiega Maurizio Bombi, titolare dell’ormai ex fabbrica di biciclette –. Dulcup è molto vicina a rilevare il nostro stabilimento nella zona industriale di Osteria Grande". Almeno la casa di Cicli Cinzia, storico marchio bolognese da quasi un anno al capolinea a causa della concorrenza proveniente dall’Est Europa, avrà un futuro.
E qual è il futuro più prossimo?
"E’ quello di due aree industriali che non diventano cattedrali nel deserto. Si tratta di due immobili molto grandi, uno da novemila metri quadri e un altro da seimila che fortunatamente non cadranno in disuso. Di questo io e il mio socio, Sergio Maccaferri, andiamo orgogliosi. Si tratta di strutture in cui abbiamo passato la vita (Cicli Cinzia venne fondata dai genitori di Bombi e Maccaferri nel lontano 1967, ndr), e che ora, grazie all’intermediazione di Gabetti property solutions agency, sede territoriale di Bologna, sono in buone mani. Accordo non definitivo ancora (c’è il preliminare), ma davvero sulla buona strada".
Venite dall’icona della bici pieghevole al tempo delle minigonne: si chiude così una storia di successo?
"Abbiamo fatto ogni tentativo possibile per sopravvivere e portare avanti l’azienda. Troppo pressante è però la concorrenza della produzione dell’Europa dell’Est. Basti pensare che fino a 4 anni fa avevamo attivo un accordo con Decathlon del valore di 8 milioni di euro, recentemente scemato a favore di una produzione più a basso costo. E’ quello che sta succedendo anche a molti marchi importanti, che per vedere il proprio nome sopravvivere hanno dovuto cedere il marchio a un grande fondo d’investimento".
E il nome Cicli Cinzia è destinato a scomparire?
"Il mio sogno è che il marchio possa rinascere per il futuro, magari in una nuova veste, con prodotti più belli, esclusivi, spinti da un motore elettrico, e perché no, al femminile. Stiamo lavorando per far sopravvivere ’Cinzia’, ma in Italia è molto difficile. Al momento abbiamo contatti con potenziali investitori in Serbia e in Portogallo".
Sempre in tema futuro: si è parlato tanto dei dipendenti, quale sarà il loro?
"Negli ultimi anni ne erano rimasti poco più di una decina. Quattro sono già stati ricollocati, per gli altri stiamo facendo tutto il possibile".
A parte la concorrenza crescente, cosa è mancato negli ultimi anni?
"Da parte del Comune ci saremmo aspettati un aiuto maggiore. Dopo l’amministrazione Prantoni ci siamo sentiti un po’ abbandonati, come se si fossero scordati di noi. Di noi che per anni abbiamo investito a favore della comunità, finanziando dal campo da golf fino alla squadra di calcio locale che ha militato in C2. Senza contare poi lo sviluppo dell’area industriale Ca’ Bianca".
Poi c’è il capitolo prettamente ciclistico.
"Dal 1975 agli anni ’80 abbiamo avuto la squadra di ciclismo professionistico, che corse anche il giro di Spagna e quello delle Fiandre. Per anni abbiamo investito nella Ciclistica Dalfiume e negli eventi sul nostro territorio. Ancora molto vivo in me il ricordo del trofeo ’Coppi e e Bartali’ del 2007, quando la nostra fabbrica divenne il punto di ritrovo, prima della partenza di campioni come Bettini e Di Luca. E ancora: quando ’Shimano’ l’uomo del famoso cambio, prese un elicottero da Milano per venirci a visitare. Cartoline appese nella bacheca di un passato che non si può dimenticare...".