
Tre opere, protagoniste dell’esposizione al via il 5 aprile. Giampaolo: "Stefano mi manca ogni giorno, ma la sua creatività sarà per sempre nel nostro stile"
Se non ci fosse il respiro a tradirlo, persino al gatto di bottega, addormentato su un ripiano, potrebbe sembrare di ceramica. Perché messo un piede nel laboratorio di Bertozzi & Casoni, inizia un viaggio fra tutto ciò che è reale o no, in un’esplorazione continua attraverso quel che è temporaneo, passeggero e incatenato alla caducità della vita. Così che anche le ‘zolle’ di terreno, nel vero e proprio senso della parola, sono diventate arte. "Nel mezzo? C’è comunque la traccia del nostro passaggio: plastiche, lattine ossa – spiega Giampaolo Bertozzi –, con un segno, una nota di speranza, i fiori nascono anche dove pare impossibile". Un tema che fa da cardine alla mostra in scena al Museo Diocesano dal 5 al 30 aprile. L’esposizione da titolo ‘Bertozzi & Casoni - Viriditas’, curata da Marco Violi nell’ambito della rassegna ‘Dialoghi’ ispirata al tema giubilare Pellegrini di Speranza, accoglierà tre sculture del celebre sodalizio artistico imolese, tra queste una inedita, creata proprio per l’occasione.
Ed è la Viriditas, la speranza a collegare le opere, come "forza vitale che agisce in tutte le realtà create", spiegano dal Museo. Quindi ecco esposte per i visitatori Fiammingo (2019-2021), scultura realizzata appositamente per la mostra Florilegio. dialogherà con altre due ’giardini’ ceramici: Disgrazia con tulipani rossi (2012 inserita nella personale al Labirinto della Masone (14 settembre 2024 - 7 gennaio 2025), ma alla sua prima esposizione imolese e Zolla con garofani (2025, ceramica policroma e bronzo, cm h 34x27,5x24) realizzata ad hoc per l’occasione.
Bertozzi, le ’zolle’ di terreno come materia prima della ceramica, ma perché sono un simbolo di rinascita?
"Sono tracce del nostro passaggio. Vetri, scatole e tutto ciò che lasciamo dietro di noi condensate in un frammento di terreno. Da un blocco (Fiammingo) spuntano i narcisi, simboli della rinascita dopo la morte e collegati alla Risurrezione di Cristo. In ’Disgrazia con tulipani rossi’, quei fiori che scaturiscono da una zolla con cartacce, sigarette e pure una zampa di pollo arriva un messaggio di speranza. Poi i garofani, protagonisti della nuova zolla, in anteprima, nel medioevo erano associati alla passione di Gesù e spesso sono presenti nell’iconografia della madonna".
Come nasce concretamente una di queste opere?
"Per la zolla si parte da un pezzo di terreno che viene lavorato completamente a mano. Al suo interno vengono inseriti scarti e pezzi di vetro. Il tutto viene poi infornato, e il tutto, dopo la cottura deve dare l’idea di un blotto ci terreno umido, al quale poi vengono aggiunti i fiori in ceramica su steli fatti in bronzo".
La lavorazione quanto tempo dura?
"Un paio di mesi, partendo dal blocco grezzo. Abbiamo sempre sperimentato su questo aspetto, introducendo, all’interno delle zolle scarti di lavorazione e oggetti di recupero. In questa bottega non si butta via niente, nemmeno la sabbia rimasta nei lavandini. Anche un oggetto che gira per anni in questo caos creativo prima o poi trova una collocazione. Tutto alla fine torna al suo posto. Fu proprio Stefano a suo tempo, a chiamarle ’disgrazie’".
Com’è oggi mettersi al banco senza il suo amico Casoni?
"Posso solo dire che non è più come prima. Ma da anni abbiamo messo su una macchina del lavoro, che sarebbe potuta andare avanti comunque in caso di dipartita di uno dei due. Abbiamo annullato le identità di Paolo e Stefano facendone una sola, ovvero Bertozzi & Casoni, una cifra stilistica che riassumesse quella di entrambi, che facesse venire fuori ciò che eravamo, un gruppo, e de persone con un grandissimo rapporto".
Cosa le manca di più del vostro rapporto?
"Probabilmente quella sana competizione che si è sempre instaurata fra di noi ed è naturale che vi sia fra gli artisti".
Qual è la soddisfazione più grande per chi fa un lavoro come il suo?
"Io so solo che sono nato per fare questo. Ne ho avuto la consapevolezza e la prova quando la mia maestra d’arte delle medie si prese la responsabilità di iscrivermi alla scuola d’arte di Faenza. Quell’incontro mi ha totalmente cambiato la vita. Negli anni sono poi andato a trovarla a Firenzuola la maestra Niccolai. Era ormai anziana, ma decise di regalarmi un acquerello, l’ultimo che avrebbe fatto in vita sua".
Cosa raffigurava?
"Neanche a dirlo, un vaso pieno di fiori".