MATTEO BONDI
Cronaca

Chiusi in casa (e non per il Covid): il dramma dei ragazzi hikikomori

La parola giapponese indica chi non vuole più uscire. Tra Forlì e Forlimpopoli, 50 famiglie formano un gruppo di mutuo aiuto. "La pandemia potrebbe aver peggiorato la situazione"

Un giovanissimo intento a giocare ai videogiochi nella propria camera (repertorio)

Forlì, 24 ottobre 2021 - La pandemia non è finita, ma le restrizioni dovute ai vari lockdown e zone colorate, come la didattica a distanza o il divieto di andare al cinema o a teatro, sono, al momento, decaduti. Una situazione che ha permesso a tanti giovani e adolescenti di riprendersi la propria vita sociale. Proprio in questo momento appare più evidente il distacco con chi invece vive una situazione di isolamento sociale volontario: si chiama hikikomori, dal termine giapponese che per primo ha definito il fenomeno per il quale giovani e adolescenti, ma anche adulti, si recludono volontariamente in casa o addirittura nella propria camera isolandosi completamente dal mondo esterno.  

Anche in Italia il fenomeno è stato studiato e sono, purtroppo, molte le famiglie che hanno iniziato a familiarizzare con tale termine. Nel tempo si sono costituite varie associazioni di genitori o di professionisti: attualmente è operativa in Romagna e nel Bolognese Ama Hikikomori Aps, composta da genitori e professionisti insieme. A loro abbiamo chiesto come i ragazzi e le loro famiglie abbiano affrontato la pandemia e le conseguenze sociali derivanti. "Molti ragazzi hanno vissuto nella prima parte del lockdown – hanno riferito le psicologhe dell’associazione – una sorta di sollievo, perché il loro isolamento non era più una condizione di diversità, ma comune, condivisa con i loro coetanei; inoltre si rendevano conto di essere più attrezzati e più abili di loro nel fronteggiare la nuova situazione e questa consapevolezza li faceva sentire rafforzati. Ma poi, con la fine delle restrizioni più dure e il ritorno a scuola in presenza, questa percezione è cambiata e anche le situazioni dei ragazzi in condizione di ritiro si sono diversificate sensibilmente. In particolar modo, chi viveva già una situazione di disagio latente oggi la affronta in maniera più forte e conclamata".  

Erano una cinquantina le famiglie che partecipavano, prima della pandemia, a due gruppi di auto mutuo aiuto fra Forlimpopoli e Forlì. "Le famiglie che avevano iniziato da tempo un lavoro di dialogo con i propri ragazzi hanno retto meglio – spiegano le psicologhe –, e con loro i ragazzi stessi. Le famiglie di ragazzi che prima della pandemia presentavano alcuni indicatori di ritiro o erano da poco entrati in situazione di ritiro, per cui sostanzialmente non avevano ancora iniziato alcun lavoro con i loro ragazzi, si sono ritrovate maggiormente spiazzate e hanno più frequentemente vissuto le riaperture come una drammatica presa d’atto del ritiro, rispetto al quale avevano sperato che potesse risolversi durante la sospensione degli impegni sociali ‘in presenza’. In molte di queste famiglie la situazione dei ragazzi si è aggravata".  

Se questa è la fotografia delle famiglie che già in qualche modo stavano affrontando la situazione di ritiro dei figli, resta il dubbio che la situazione sia potuta peggiorare per altri ragazzi e famiglie. "I numeri delle famiglie partecipanti agli incontri non è mutato – spiega la presidente dell’associazione, la forlivese Marina Mercuriali –, ma le psicologhe e psicoterapeute con cui siamo in contatto si stanno ritrovando con molte richieste di appuntamento per casi che potrebbero essere hikikomori, così come alcune famiglie sono arrivate a noi direttamente. La scuola ha ripreso da poco, la situazione è ancora in divenire, ma la sensazione è che i numeri possano salire e di molto".  

Già nel febbraio 2019, esattamente un anno prima dell’inizio della pandemia, il Cineflash di Forlimpopoli aveva ospitato un convegno su questa condizione. Affrontata qui prima che altrove. Una battaglia ancora però lontana dall’essere vinta