SOFIA NARDI
Cronaca

Vito Mancuso: "La gioia va costruita. L’io non deve dominare. È fatto per amare"

Il teologo incontrerà alle 19 al San Giacomo il pubblico del Buon Vivere e sviscererà i temi contenuti nel suo ultimo libro: "C’è differenza con la felicità che per sua natura non può essere durevole" .

Vito Mancuso: "La gioia va costruita. L’io non deve dominare. È fatto per amare"

Il teologo Vito Mancuso sarà oggi ospite del Buon Vivere

Vito Mancuso, teologo, incontrerà il pubblico del Buon Vivere questa sera alle 19 al San Giacomo in una conversazione che sviscererà anche i temi del suo libro ‘Non ti manchi mai la gioia’, edito da Garzanti nel 2023.

Mancuso, è davvero possibile che non manchi mai la gioia?

"Sì. Per comprenderlo bisogna partire da un concetto fondamentale: la distinzione tra gioia e felicità. Se non capiamo questa distinzione davvero finiamo per seguire inutilmente una chimera e per sentirci continuamente traditi dalla vita, sentendola come una promessa che non si compie mai".

Cosa differenzia felicità e gioia?

"La felicità è un’emozione, mentre la gioia è risultato di un’armonia".

Quindi è più semplice provare felicità che gioia?

"Certamente è così. Basti pensare che le emozioni sono turbamenti spontanei che proviamo fin dalle nostre primissime ore di vita: nasciamo, poppiamo e la sazietà ci fa provare felicità. Crescendo, poi, le cose non cambiano, infatti ogni giorno o quasi viviamo dei momenti di felicità. Pensare di poter cristallizzare quell’emozione è un’illusione perché, per sua natura, non è durevole e tentare nell’impresa significa condannarsi a una sconfitta sistematica".

La gioia, invece, può essere durevole?

"La gioia è il risultato di una concertazione tra le manifestazioni della nostra interiorità che si manifesta come emozioni, sentimenti e passioni, e il nostro superego che produce valori, ideali e virtù. Quando c’è armonia e circolarità tra dimensione egoica e superegoica si arriva a un sentimento di tranquillità e pacatezza che altro non è che la gioia, ossia l’armonia di sé con sé".

‘Non ti manchi mai la gioia’ è una citazione tratta dalla 23ª lettera a Lucilio di Seneca. Perché ha scelto questo passo?

"Perché Seneca, in questa lettera, dice a Lucilio ‘impara a gioire’: la gioia va imparata, mentre la felicità è istintiva e strutturale, non ha bisogno di sforzo".

Nel suo testo lei analizza anche il rapporto contemporaneo con la dimensione dell’io. L’io può essere un intralcio nel percorso verso il raggiungimento della gioia?

"Veniamo da secoli in cui l’io veniva represso in qualcosa di diverso, che frequentemente veniva chiamato Dio. Oggi siamo passati a un eccesso opposto: la volontà soggettiva non riconosce niente di superiore a se stessa. Se questo ci portasse a un maggiore benessere, non ci sarebbe nulla da obiettare, ma basta guardarsi attorno per capire che non è così".

Siamo troppo egocentrici?

"Sì, se pensiamo che l’io non è fatto per dominare, ma per amare. L’io si realizza mettendosi a servizio di qualcosa di più grande di lui. Oggi, invece, l’io consuma tutto, mettendosi al vertice di ogni cosa. Non siamo più disposti a vivere la dimensione passiva dell’esistenza, senza capire che è proprio quando qualcosa di più grande di noi ci cattura, che saliamo di grado. Insomma: ci realizziamo quando ci superiamo".

La tendenza si può invertire?

"Non so se sia possibile a livello di società, ma senz’altro lo è nei singoli e, di fatto, avviene ogni volta che ci innamoriamo di qualcosa, che sia dell’arte, del lavoro, di una musica, di una disciplina che studiamo, di un progetto...".

Lei dedica il suo libro a Hetty Hillesum, giovane ebrea morta ad Auschwitz a soli 29 anni, autrice di un celebre diario-fiume. Cosa le deve?

"I suoi diari sono un’opera straordinaria che attestano magnificamente come si possa essere profondamente infelici pur vivendo nella gioia, una gioia che arriva dalla infinita meraviglia di esistere".