Forlì, 6 gennaio 2025 – Celebrando la tradizionale ‘Messa dei Popoli’ con le comunità cattoliche delle diverse etnie presenti nella diocesi di Forlì-Bertinoro, mons. Livio Corazza ha sottolineato che “la festa dei popoli è l’icona di una Chiesa che cammina, che nel pellegrinare su questa vita rivolge il suo sguardo su Cristo che è sempre presente e vivo nella nostra vita”. Alla messa di ieri, nella chiesa di San Giuseppe Artigiano dove è parroco don Germano Pagliarani, erano presenti i sacerdoti e i cappellani che prestano servizio a Forlì ed è stata animata dai canti delle diverse comunità straniere che hanno partecipato con i loro costumi tipici: rumena e ucraina di rito greco-cattolico, polacca, filippina, africana di lingua francese, africana di lingua inglese, indiana del Kerala di rito siro-malabarese, eritrea oltre a quella italiana.
“Domani a quest’ora sarò in volo verso la Bolivia – ha aggiunto il vescovo – e vi ringrazio per aver anticipato a oggi la festa. Non volevo perderla, ci tenevo tanto. È una bella immagine della Chiesa cattolica. Un mosaico di popoli, lingue, tradizioni diverse, unite dall’unica fede in Cristo. Siamo un’unica fraternità, la fraternità cristiana”. Richiamando l’imminente festa dell’Epifania, con cui si ricorda la manifestazione e l’apertura di Dio a tutti i popoli del mondo, mons. Corazza ha sottolineato che “essere diversi è bello. Nella varietà si manifesta la ricchezza e la fantasia di Dio. Non siamo fatti con un unico stampo. Siamo unici e originali”.
Ha poi parlato nello specifico dei migranti: “Non siamo accoglienti perché siamo buoni o perché loro sono buoni, siamo accoglienti perché fratelli, perché tutti immigrati e tutti figli di Dio”. Sull’ostilità, la diffidenza e il rifiuto con cui spesso di tratta chi è straniero, mons. Corazza ha esortato a riconoscerci tutti fratelli: “Ma se noi cristiani non riusciamo ad accogliere come fratelli e sorelle i nuovi arrivati a che cosa serve la nostra fede? Se non riusciamo a vedere nell’altro un figlio di Dio, a cosa serve la nostra fede? Il rifiuto dell’immigrato è rifiuto di Dio. Gesù stesso è stato un profugo perché è scappato in Egitto. Fossero anche tutti di un’altra fede e religione gli immigrati sono comunque nostri fratelli perché figli di Dio”. Infine, ha ricordato i progetti benefici della diocesi a Wajir in Kenya, in Libano e Madagascar.