Liverani, quando ha ricevuto la diagnosi di tumore al seno, qual è stata la sua reazione?
"Per me la diagnosi non è stato un momento sconvolgente. Ho sempre avuto la consapevolezza che, se siamo vivi ci possiamo ammalare. Non credo che occorra essere forti ma veri: serve accettare la propria vulnerabilità per permettere agli altri di aiutarci quando siamo in difficoltà. Da quando ho avuto la diagnosi sono circondata da medici e infermieri tutti pronti a farsi in quattro per farmi stare meglio e ho incontrato molti ‘compagni di viaggio’ con cui condividere pensieri, sogni e risate".
Il percorso di malattia può essere traumatico per l’immagine che si ha di sé. Come ha gestito l’impatto sul suo corpo?
"Ero terrorizzata all’idea di perdere i miei capelli, ricci e folti, che sono sempre stati un simbolo importante per me. Poi ho compreso che la mia identità non risiede nel mio aspetto fisico, ma nelle mie qualità. Ho perso non solo i capelli, ma anche le ciglia, le sopracciglia e le unghie. Dopo aver cambiato prospettiva, ho iniziato a vedere solo la bellezza del cambiamento: il mio corpo stava reagendo e trasformandosi per affrontare la malattia. Non vivo questo percorso come una battaglia e non mi sento una guerriera; piuttosto, lo vedo come un atto di cura verso me stessa".
Qual è il messaggio che vuole lasciare, attraverso la mostra, nelle persone che stanno affrontando un percorso difficile come il suo?
"Durante il percorso oncologico ho capito quanto sia facile smettere di sognare. I pazienti spesso mettono le loro vite in pausa, lasciando che il tempo scorra senza di loro. Invece, bisogna continuare a sognare, proprio come una regina. Anche io, all’inizio, sono caduta in questo errore. Il messaggio che desidero trasmettere è semplice: ci saranno giornate difficili e a volte potrebbe non essere possibile sorridere, ma è fondamentale continuare a sognare in grande, proprio come una regina".
I fondi raccolti dalla vendita dei quadri andranno a finanziare il progetto di umanizzazione della Chirurgia per le Terapie Oncologiche Avanzate. Quanto pensa che un ambiente più accogliente possa fare davvero la differenza per chi affronta un percorso oncologico?
"Quando sono stata ricoverata in Chirurgia Senologica ad agosto, mi sono trovata immersa nell’arte: il reparto è decorato con grandi tele di Degas e Klimt, e sul soffitto ci sono immagini di un cielo terso punteggiato da nuvole bianchissime. Curarsi in un ambiente così fa davvero la differenza, perché ti permette di non sentirti rinchiusa e, soprattutto, di sentirti meno malata. Per ‘umanizzare’ gli ospedali, dobbiamo ricordarci di essere umani e comportarci come tali".