Novembre è il mese dedicato alla sensibilizzazione per la lotta al tumore al pancreas e oggi ricorre la giornata mondiale di una delle malattie oncologiche più temute.
Prof Giorgio Ercolani (foto), direttore di chirurgia generale dell’ospedale Morgagni-Pierantoni, che messaggio vorrebbe trasmettere in quest’occasione?
"Vorrei che le persone capissero che nei confronti di certe patologie come il tumore al pancreas sono indispensabili strumenti quali la prevenzione, la diagnosi precoce e un’accurata ricerca scientifica; è importante poi sia chiaro che, per ottenere risultati confortanti è imprescindibile che i pazienti vengano trattati in particolari centri di riferimento con un approccio interdisciplinare ed elevate competenze professionali".
Perché prevenzione e diagnosi precoce sono fondamentali?
"Perché quello al pancreas è un tumore insidioso, silenzioso, su cui le terapie chirurgiche e mediche hanno poco effetto se confrontate all’efficacia che possono avere nei confronti di altri tipi di tumori quali quelli allo stomaco, alla mammella o al colon retto e quindi bisogna cercare di prevenirlo sottoponendosi a controlli per evitare la formazione di noduli".
Quali sono i sintomi con cui si manifesta?
"Nella fase iniziale sono sintomi aspecifici come malessere generalizzato, stanchezza, dolore che dal centro dell’addome si irradia verso la schiena e per quelli della testa del pancreas anche l’ingiallimento della pelle e degli occhi".
Quali sono i fattori di rischio?
"Premesso che ancora non sappiamo da cosa sia provocato, a parte alcune alterazioni genetiche che lo predispongono, vanno sicuramente evidenziati il forte consumo di alcolici e tabacco e pazienti con diabete o neoformazioni cistiche del pancreas. Uno stile di vita corretto che escluda o riduca situazioni di cui sopra aiuta".
Quali sono i dati a livello nazionale e locale di pazienti con il tumore al pancreas?
"Sono dati allineati. Diciamo che per dare un riferimento numerico, su 100 soggetti, soprattutto uomini dai 60 anni in su, che contraggono questa patologia, 45 possono essere operati, mentre i rimanenti vengono sottoposti a chemioterapia con ridotte speranze di essere sottoposti a un intervento chirurgico. Fra i pazienti operati, la percentuale di sopravvivenza a cinque anni dall’intervento e quindi con certezza di guarigione, è fra il 20 e il 30%. Su 100 pazienti ne sopravvivono fra i 10 e i 15".
Quindi oltre alla prevenzione cosa è possibile fare?
"Essendo una patologia in aumento è molto importante che i pazienti vengano indirizzati verso centri di riferimento a medio e alto volume (detti così perché vi si operano più di 100 persone all’anno). In Italia ne abbiamo due, uno a Milano e l’altro a Verona, ma a Forlì stiamo cercando di costruirne un altro che dovrebbe nascere in una collaborazione fra Ausl Romagna e Irst di Meldola, in grado di gestire i casi più gravi".
Qual è la situazione a Forlì?
"Ci sono le competenze multidisciplinari per riuscire in questo intento e mi sto riferendo alla presenza dell’oncologo, del chirurgo, del radiologo, del patologo e del gastroenterologo. E poi abbiamo collaborazioni dirette con i centri di Milano e Verona come dimostra il fatto che il 16 e il 17 dicembre organizzeremo presso il Campus universitario un importante convegno dedicato proprio a questi temi a cui parteciperanno i migliori esperti nazionali del settore".
Fra le tante operazioni che ha eseguito, ha ricordi particolari di persone sopravvissute?
"Le ricordo quasi tutte perché, a distanza di anni, quelle vive sono poche. Purtroppo è molto maggiore il numero di pazienti operati e vittime nel giro di 24-36 mesi di una recidiva".
Come si sente quando non riesce a salvare una persona?
"Come dico spesso ai miei studenti per noi medici l’incapacità di offrire una soluzione che possa risolvere i problemi di un paziente è una sconfitta. Ma è meglio saper riconoscere i propri limiti e fermarsi invece di offrire alle persone soluzioni fantasiose e poco realistiche".
Com’è la situazione oggi in ospedale per i tempi degli interventi chirurgici alla luce di un ritorno dei contagi legati al Covid?
"In questo momento le tempistiche sono a livello standard e non esistono criticità o emergenze che provochino ritardi negli interventi da svolgere per i pazienti chirurgici e a maggior ragione per le patologie oncologiche. Poi quello che succederà da qui ad un mese non sono in grado di prevederlo".
Stefano Benzoni