
Ai domicliari tre operai albanesi incensurati: avrebbero sequestrato e picchiato a sangue due connazionali colpevoli di aver commesso un raid nell’abitazione di uno di loro.
Un uomo a terra. Sanguinante. Qualcuno l’ha visto gettato da un’auto in corsa. Anzi, ne ha visti due. In effetti sono due. Feriti entrambi. Un vigilantes del centro commerciale Bennet di Forlimpopoli prima li soccorre e poi dà l’allarme.
Quasi cinque mesi dopo i carabinieri ricostruiscono il puzzle. Quei due erano le vittime d’una resa dei conti. D’una forma di giustizia-express, fai-da-te: tre uomini li avevano prelevati a forza, buttati in un’auto, portati in un’area isolata di Castrocaro e poi picchiati a sangue. Con uno dei due legato e preso a calci e pugni. E con la minaccia d’essere buttati in un pozzo.
Questa la versione dell’accusa, messa nero su bianco dagli investigatori dell’Arma, formalizzata dalla procura e accolta dal giudice per le indagini preliminari di Forlì, che ha decretato gli arresti domiciliari per i tre aggressori, indagati per concorso in estorsione aggravata e lesioni personali aggravate. Tre albanesi, operai d’una stessa azienda. Incensurati, regolari col permesso, socialmente integrati con le loro famiglie. Che però, stando alle risultanze degli inquirenti, si sarebbero fatti giustizia da soli. Per un furto subito a fine estate 2024. Un colpo nell’abitazione di uno dei tre.
Eccolo dunque l’innesco della trama. Il furto. La vittima del colpo ne parla con gli amici-colleghi. E dopo una serie di telefonate ad altri conoscenti viene fuori che a firmare quel furto sarebbero stati due tizi. Connazionali, che i tre conoscevano di vista. Due albanesi manovali che per arrotondare – stando ai riscontri – farebbero pure quello, rubare in casa. Solo che stavolta l’obiettivo del blitz è stata, come dire, una casa sbagliata. Quella di un connazionale. Che una volta accertata – secondo lui – la (presunta) responsabilità del furto, non avrebbe denunciato i sospettati alle forze dell’ordine, ma avrebbe organizzato una spedizione punitiva. Assieme a due colleghi.
Questo sarebbe il quadro. Messo insieme dagli inquirenti dal settembre 2024 – epoca dell’aggressione – fino a due giorni fa, quando i militari dell’Arma hanno formalizzato gli arresti domiciliari ai tre operai. I detective della Compagnia di Meldola e della stazione di Forlimpopoli avrebbero, subito dopo l’aggressione, ricevuto dalle due vittime le prime dritte. L’auto della spedizione punitiva; la descrizione dei componenti del commando. Poi i due si sono chiusi in silenzio. Per paura. Perché i tre connazionali li hanno minacciati di future ritorsioni, mentre li pestavano per farli confessare il furto. E li hanno pure ripresi col cellulare, per immortalare la loro ammissione (i militari hanno sequestrato telefoni e immagini di videosorveglianza). Alla fine, a confessione ottenuta, dopo averli pestati (pur non avendo ottenuto la resituzione della refurtiva), i tre hanno abbandonato i due al Bennet di Forlimpopoli. Ma poi la legge ha preso il sopravvento.
ma. bur.