Forlì, 18 dicembre 2024 – E’ continuata in queste ore la lentissima risalita verso la luce di Ottavia Piana (tant’è che la donna è stata salvata e riportala in superficie nella notte), la speleologa 32enne che, sabato scorso, è rimasta intrappolata nella grotta ‘Abisso Bueno Fonteno’, in Lombardia. L’esploratrice ha le ossa del viso e delle gambe rotte e a soccorrerla sono arrivate diverse squadre di esperti che, però, si sono trovate a lottare con la dura roccia inesplorata, nei visceri oscuri della terra.
Matteo Turci, istruttore Cai dello Speleo Club di Forlì, lei ha conosciuto bene Ottavia. In quali circostanze?
“Abbiamo fatto una grotta insieme, il Buso della Rana, nel vicentino. Siamo stati fianco a fianco per 24 ore. È una ragazza modello, molto attenta. Perciò mi dispiace vedere che sui social in tanti la attaccano dicendo che è stata imprudente o che addirittura se l’è cercata”.
Forse lo dicono perché lo scorso anno ha avuto un brutto incidente nella stessa grotta.
“Sì, ma è un giudizio superficiale. Tra l’altro va considerato che la grotta è la stessa, ma le profondità no: sabato Ottavia si trovava in un punto inesplorato, che nessuno al mondo poteva conoscere. Poi quello dello scorso anno è stato un incidente dalla dinamica del tutto diversa: le si era staccato un attacco e aveva battuto un arto”.
Questa volta, invece, com’è andata?
“Era in esplorazione in un luogo che aveva tutte le caratteristiche per essere sicuro, tant’è che nessuno del gruppo era imbragato. Sebbene fosse una zona sconosciuta della grotta, la conformazione generale suggeriva che non c’era alcun motivo di preoccupazione: teoricamente si stava percorrendo un tratto calcareo e stabile, invece il terreno le ha ceduto sotto i piedi, facendola sprofondare. Una grande sfortuna che sarebbe potuta capitare a chiunque”.
Cosa spinge voi speleologi ad avventurarvi in luoghi così potenzialmente irti di pericoli?
“Quella per la speleologia è una magnifica passione mossa dal desiderio di avventurarsi in luoghi dove l’uomo non ha mai messo piede prima e dove la natura ha modo di lavorare nel buio più completo. E poi ci sono anche ragioni scientifiche: molti non lo sanno, ma la speleologia è nata proprio in Italia, a Trieste, a fine Ottocento, in un periodo di forte siccità che spinse i cittadini a cercare riserve idriche nelle grotte”.
Cosa si prova durante l’esplorazione?
“Un’emozione unica, meravigliosa, sempre diversa eppure sempre uguale, come quando si abbraccia la persona amata: la conosci, eppure ti emozioni come la prima volta”.
Cosa consiglia a chi vuole avvicinarsi alla speleologia?
“Di seguire corsi seri, di fare tanta pratica sempre in gruppo e di non dimenticare la sicurezza. Però, detto questo, tutti noi sappiamo bene che una dose di imprevisto va messa in conto”.
Sentirà Ottavia, una volta fuori pericolo?
“La sentii anche l’anno scorso, dopo l’incidente. Appena possibile la chiamerò. Se avessi saputo di poter essere utile, non avrei esitato a unirmi alle squadre all’Abisso Bueno Fonteno”.
Cosa le dirà?
“Un medico ha riferito che Ottavia gli ha detto che non scenderà più in grotta. Credo sia comprensibile, in un momento di dolore e grande difficoltà, ma sono certo che la sua passione presto avrà la meglio: io la incoraggerò a seguirla”.