"No, non c’era alcun bisogno di autorizzazioni: i lavori che stavamo eseguendo non interessavano l’argine del fiume".
A parlare davanti al giudice Federico Casalboni, in risposta a una domanda della pm Messina, è Graziano Pastorelli, uno dei tre imputati per l’alluvione di Villafranca e San Martino in Villafranca del 13 maggio 2019. Quando cioè le acque del Montone sfondarono l’argine dopo ore di pioggia allagando le due frazioni a est della città, causando gravissimi danni a residenti e case; per fortuna, nessuna vittima. Ma fu quasi un drammatico prologo della tragedia del 2023.
Pastorelli è un ingegnere di Autostrade per l’Italia ed è accusato dalla procura di Forlì di inondazione colposa con altri due imputati, Tonino Maria Bartolotta – legale rappresentante della ditta esecutrice dei lavori, con sede a Martirano Lombardo, in provincia di Catanzaro – e Michele Renzi, dirigente di tronco di Autostrade per l’Italia.
Graziano Pastorelli nella primavera del 2019 era il direttore dei lavori del cantiere che era stato approntato sotto il cavalcavia dell’A14 per la sistemazione di una trave, deteriorata a seguito di un percolamento d’acqua che aveva poi danneggiato le sottotravi di decompressione.
"Scusi come fa dire che non lavoravate nell’argine? Mi sembra che il vostro intervento, come si evince dall’elaborato tecnico del nostro consulente, insistesse palesemente sull’argine stesso...", è il tono dell’intervento del pm Federica Messina.
"No – replica l’imputato – il nostro intervento consisteva nel ripristino della trave danneggiata. Noi ci siamo solo appoggiati. I lavori sono stati eseguiti secondo le regole". L’esatto contrario di quello che avevano riferito in aula la volta scorsa due testimoni della procura, Fausto Pardolesi, funzionario dell’ufficio Sicurezza territoriale e protezione civile della Regione (con sede a Forlì), e Mauro Vannoni, ex responsabile del Servizio tecnico di Bacino. Che spiegarono come l’argine del fiume, nel punto dei lavori, si fosse "abbassato". Pastorelli però ieri ha rilanciato, sollecitato dal suo legale, Gianluca Lebro: "In realtà c’era un’altra fenditura nell’argine, più a sud rispetto a quella dove lavoravamo noi, e lì era intervenuta la Regione...". Come a dire: non si sa bene dove l’argine abbia ceduto. Per la procura però la spalla del fiume sarebbe crollata proprio dov’era cantiere. Prossima udienza, 21 gennaio 2025, con la deposizione degli altri due imputati. Sentenza messa in calendario il 14 marzo.