FABIO GAVELLI
Cronaca

Paracadutista Forlì: "Sopravvissuta a un incidente aereo. Dopo dieci anni ricomincio"

Sabrina è passata attraverso 24 giorni di coma e sei interventi alla testa: "Lavoro in una coop sociale"

Sabrina Spada, sammarinese d’origine, nel negozio gestito da Cavarei (Frasca)

Forlì, 3 agosto 2021 - Durò pochi secondi, il volo spezzato della libellula. Poi il buio, il silenzio. E l’oblio. Sabrina Spada non ricorda nulla di quel drammatico 2 aprile 2011, la data che resta impressa nel suo avambraccio sinistro. È il suo corpo, tuttora, a recarne le conseguenze indelebili. Era al suo quarantesimo volo da paracadutista; undici persone a bordo di un aereo Pilatus, decollato dall’aeroporto La Spreta di Ravenna. A 300 metri di quota, il velivolo precipita. Tutti feriti; lei, Sabrina, la più grave. C’era anche un bambino di 11 anni, a bordo. "Mi hanno detto che l’ho protetto col mio corpo, si fratturò solo il polso. A terra era presente anche il mio fidanzato, anche lui paracadutista che era partito col volo precedente. Un incidente aereo del genere, con i paracadutisti a bordo, in fase di decollo, non era mai successo". La seconda vita di Sabrina comincia allora, a 25 anni di età. La prima racconta di una ragazza appassionata di sport estremi – "ero una spericolata" – come il paracadutismo, sulle orme di un cugino; o il rafting. "Amavo il volo per il senso di libertà e di gioia immensa che mi regalava. Non avevo paura di lanciarmi da 4500 metri". Studi superiori all’Itc di Santarcangelo, l’impiego in banca a San Marino, dove vive coi genitori e le sorelle Cristina e Alessia. Una ragazza piena di vita, persino esuberante. Fa la volontaria fin da piccola all’Unitalsi, "la mia famiglia è molto devota alla Madonna di Loreto, protettrice degli aviatori: è lei che mi è stata vicina nel mio percorso dopo l’incidente". Poi il trauma cranico fortissimo, 24 giorni di coma, il risveglio quando era al centro di riabilitazione la ’Luce sul mare’ di Santarcangelo, la consapevolezza di trovarsi, all’improvviso, in altri panni. "Ai miei genitori inizialmente prospettarono il rischio di uno stato vegetativo, quindi di una paralisi permanente", racconta oggi a pochi passi dal parco urbano, nel giardino del gruppo appartamento della cooperativa sociale Cavarei, dove Sabrina lavora da marzo nella sede di via Bazzoli, frutto di un progetto di recupero dell’autonomia personale. Ciò che è oggi, Sabrina, è l’esito di quello che, sbrigativamente, viene di solito definito calvario, oppure odissea. "Sei interventi chirurgici alla testa, al Bufalini di Cesena, perché il cervello si era spostato di 2 centimetri. Dopo il quarto, ero piena di pus, era subentrata un’infezione a seguito di una cranioplastica. Alla fine mi misero un pezzo in ceramica, l’ultima operazione risale al 2012". Ma le mani e le gambe non erano più le stesse. Il dolore, si può solo immaginare. Al corpo, in fondo all’animo. Tanta fisioterapia, l’ausilio di un deambulatore. Sempre la stessa disponibilità verso il prossimo: al centro diurno Le Mani di San Marino ha aiutato gli altri ragazzi con la logopedia, poi ha trascorso un periodo alla cooperativa sociale Cils di Cesena, fino all’anno scorso. Nel 2020, accade un fatto. "Il giorno di Ferragosto sono caduta, mi sono fatta un buco nel gomito. Mi portano al pronto soccorso di Cesena, ma c’è tanta gente, quindi finisco a San Piero in Bagno. Mi vede un dottore e mi chiede del tatuaggio sul braccio, con la data dell’incidente. Come inizio a parlare, spalanca gli occhi: è stato lui a soccorrermi con l’elicottero del 118. Non ci poteva credere... penso che il destino abbia voluto farmi conoscere la persona che mi aveva prestato le prime cure". Sabrina Spada si aggrappa al suo carattere, trova forze insospettate. "Avevo un grande desiderio: salire sulla Grande Duna, nel deserto del Sahara, e nel 2016 ce l’ho fatta, nonostante una tempesta di sabbia". È stata anche più volte testimonial della Giornata Internazionale della disabilità. La pagina attuale del suo ’libro’, Sabrina la sta scrivendo proprio a Forlì, dove chi l’ha conosciuta, ha già avuto modo di apprezzarne le doti umane, la profondità d’animo. "A Cavarei seguo l’accoglienza dei clienti, collaboro a confezionare alcuni prodotti che sono venduti nello shop, mi occupo persino delle chiusure di cassa. Mi sento utile, la cooperativa è una realtà che mi piace tantissimo, il mio progetto termina a fine anno, ma spero veramente che possa proseguire".