Ottant’anni dopo. Mario, bambino ferito:: "Quel tetto sfondato e la corsa in cantina"

I ricordi dell’ex docente Soprani, che abitava in via Leone Cobelli "Le schegge dei vetri mi colpirono alla schiena, ma ci salvammo tutti". Domattina la ricorrenza: omaggio alle 74 vittime civili e visite guidate.

Ottant’anni dopo. Mario, bambino ferito:: "Quel tetto sfondato e la corsa in cantina"

I ricordi dell’ex docente Soprani, che abitava in via Leone Cobelli "Le schegge dei vetri mi colpirono alla schiena, ma ci salvammo tutti". Domattina la ricorrenza: omaggio alle 74 vittime civili e visite guidate.

di Sofia Nardi

Era il 25 agosto del 1944, quando i bombardieri dell’esercito alleato colpirono il cuore della città provocando circa un centinaio di morti, fra civili e militari, e alcune centinaia di feriti. Era un venerdì di mercato e in piazza Saffi si contarono 74 vittime civili. Anche molte vie appena fuori dal cuore della città furono ferite dai cacciabombardieri, con il loro carico di morte. Tra queste c’erano anche via Cobelli e via Marcolini. È proprio qui, in un edificio a cavallo tra le due strade, che abitava Mario Soprani, che oggi ha 83 anni: nella vita è stato docente e socio della ditta di impianti solari ‘Fiorini’ e vive ancora nella stessa casa di allora.

Soprani, nel 1944 lei era un bambino. Ricorda qualcosa di quel giorno?

"Avevo tre anni e mezzo, eppure ho ancora in mente parecchie sensazioni, ho alcune immagini molto nitide nella mente. Le lacune della mia memoria le hanno colmate gli adulti con i loro racconti".

Cosa successe quel 25 agosto?

"In via Cobelli era da poco stato trasferito l’Ufficio Leva che prima era in via Curte ed era stato distrutto in un precedente attacco. Quello era uno degli obiettivi preferiti e infatti quel giorno suonò l’allarme e dopo poco caddero due bombe. Quelle bombe, però, non esplosero, ma si limitarono a sfondare il tetto".

Voi dove eravate?

"Quando suonava l’allarme ci rifugiavamo in cantina. Ricordo che avevamo un gatto, Pacin, che appena sentiva il suono correva verso la porta per andare di sotto: ormai aveva imparato anche lui. Noi siamo rimasti lì per un po’, invece mio babbo, che era medico, è uscito in strada per dare una mano, casomai ci fossero stati dei feriti".

C’erano?

"No, non era successo nulla, per fortuna, così dopo un po’ anche noi uscimmo dal rifugio e tornammo alle nostre occupazioni che poi vennero interrotte un paio d’ore dopo. Non sapevamo che tragedia fosse avvenuta in piazza Saffi: mio padre probabilmente sapeva, ma aveva voluto evitarci l’orrore".

Cosa successe?

"Le bombe che erano rimaste inattive a quel punto esplosero. Io ero seduto in cortile su un gradino che c’è ancora. Ricordo bene il sole forte di una bella giornata estiva e poi i vetri della porta che avevo alle spalle che mi ferivano: erano andati in pezzi a causa dello spostamento d’aria".

Avrebbe potuto rimanere ferito gravemente.

"Sì, ma come me tanti altri. Penso, ad esempio, a Fiorenza Todeschini, figlia del Todeschini che ebbe tanto a lungo la ferramenta in piazza. Lei allora aveva 9 anni e si trovava sul balcone a guardare in strada. Si fece l’ora di pranzo e la madre la chiamò a tavola, così lei rientrò. Proprio un istante dopo la bomba fece saltare in aria il balcone: pochi attimi e sarebbe morta. Invece, quasi per miracolo, nella nostra via si salvarono tutti. Purtroppo non si può dire lo stesso per altre zone della città".