Sanda Sudor, mamma di Alina Marchetta, ha scritto una lettera al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. La 26enne venne uccisa il 7 aprile 2019 mentre era a piedi in viale Salinatore, travolta da un’automobile guidata dalla 28enne Martina Mercuriali. L’alcoltest evidenziò che la studentessa universitaria aveva un valore di 1,78 grammi di alcol per litro di sangue, oltre il triplo del consentito. Mercuriali, attraverso i suoi avvocati, ha chiesto di patteggiare quattro anni di pena: è imputato di omicidio stradale. Giovedì potrebbe arrivare la sentenza. "Alina era mia figlia, la mia unica figlia", scrive la mamma, che contesta quanto prevede la nostra legislazione. Mercuriali, ricorda la donna rivolgendosi al Capo dello Stato, venne "arrestata per omicidio stradale, scarcerata l’indomani, e poi mandata ai domiciliari". In attesa del processo, quindi della sentenza, "ha chiesto ed ottenuto la revoca della misura di custodia per poter frequentare i corsi all’università di Bologna". L’8 ottobre ha chiesto di patteggiare una pena di quattro anni. Che, precisa, "non saranno mai quattro anni effettivi e che non si tradurranno mai in un solo giorno di carcere. Infatti, in base alla nostra legge per pene detentive non superiori a quattro anni, si può richiedere l’ ’affidamento in prova’, quale misura alternativa alla detenzione".
Il patteggiamento, continua, consiste nella rinuncia dell’imputato "a contestare l’accusa in cambio di uno sconto sulla pena fino a un terzo. I veri condannati, ma non a una pena detentiva, bensì all’ergastolo del dolore, siamo noi, i familiari di Alina impossibilitati a chiedere giustizia nelle aule di tribunale, dove grazie a benefici e riti alternativi, spesso non possiamo neppure costituirci parti civili. Io ormai non piango più perché sono già morta, muoio e rinasco ogni volta, sono morta anche l’8 ottobre quando nell’aula del Tribunale di Forlì l’imputata ha chiesto il patteggiamento. La vita di Alina non vale nulla! Si negozia come se ci si trovasse al mercato, mi togli sei mesi lì, me ne aggiungi altri tre là, una cosa squallida e assurda, per una vita spezzata all’improvviso, a causa della scelta scellerata di una persona che si è messa alla guida ubriaca e drogata". Se, conclude, "chi uccide può patteggiare il prezzo di una vita, allora io non mi sento di dire che vivo in un paese civile. Se chi sbaglia non paga adeguatamente per il fatto commesso, si arriva all’irresponsabilità che è anticamera dell’arbitrio. Se c’è chi accetta questo sistema squilibrato, tutto proteso a proteggere chi commette gravi reati e a dimenticare le vittime, dall’altra parte ci siamo noi, familiari di queste vittime innocenti, che non accettiamo queste vere e proprie ingiustizie. Presidente, confido in una Sua parola, in un Suo intervento. Perché, nonostante tutto, continuo a credere e sperare che l’Italia sia uno Stato di diritto. Dove la vittima, ha gli stessi diritti del carnefice".