Mons. Livio Corazza, vescovo di Forlì-Bertinoro, buon anno. Sono state delle festività particolari per lei: le va di parlare del lutto che l’ha colpita?
"Auguri e condoglianze: due parole che tanti mi hanno detto insieme. Il 13 dicembre è scomparso mio fratello Gianfranco, 81 anni: una morte non imprevista, perché era già malato, ma improvvisa. Aveva 10 anni più di me, mi incoraggiava: nonostante lui sia entrato in seminario quando ero ancora molto piccolo, eravamo tre volte fratelli. Di sangue, nella fede e nel sacerdozio. Restiamo cinque: è il primo di noi che se ne va, dopo una sorellina di un anno e mezzo nel 1940".
Il 31 dicembre nel ‘Te Deum’, il ringraziamento per l’anno vecchio, anche lei ha fatto un po’ un bilancio. Tra gli aspetti negativi ha citato culle vuote, seminari vuoti, indifferenza alla Chiesa, disagio giovanile, guerre, povertà, profughi... difficile che le belle novità superino questo elenco...
(per un attimo sorride) "Dopo l’ordinazione di don Francesco Agatensi, non abbiamo più seminaristi forlivesi. Dopo la pandemia, i volontari sono calati. Problemi collegati al tema che mi preoccupa di più, ed è il disagio giovanile".
Di solito lei annuncia speranza. C’è lo stesso?
"Sì. Non dobbiamo arrenderci. Per esempio, sul territorio diocesano c’è una bella rete tra le istituzioni che si occupano di minori: Fondazione Carisp, parrocchie, associazioni, cooperative sociali, Comune, Prefettura, Questura, scuole... E poi ho iniziato la visita pastorale, che durerà fino al 2026".
L’APPENNINO NEL CUORE
È partito dall’alta valle del Montone.
"Noi diciamo il vicariato dell’Acquacheta. Oppure la Valle Santa, come la chiamo io".
Perché?
"Per Benedetta Bianchi Porro, le figure di San Benedetto, San Donnino, Sant’Antonio, le comunità religiose di Montepaolo, Dovadola e Rocca San Casciano. Ho scelto quella: la più lontana. Una delle più piccole e delle più colpite dall’alluvione e dal terremoto".
Il sisma è stato una grave emergenza che molti dimenticano.
"Abbiamo venti chiese danneggiate, anche se le principali sono riaperte. La stessa Montepaolo fa i conti con un cantiere. Ci sono problemi grossi, lassù. A Bocconi da anni non c’è un nuovo nato. La popolazione è preoccupata ma determinata, ha senso di appartenenza ma non chiusura: non recrimina, non si lamenta. È qualcosa di profetico".
Cosa intende?
"Racconto un episodio. Ho chiesto a una bambina di chiare origini africane: ‘di dove sei?’. E lei mi ha risposto: ‘di Portico!’. Questo dice della sua integrazione. E così anche quella tra i preti, molto bravi, e i laici, decisivi nel mandare avanti le parrocchie nella quotidianità".
IL POST ALLUVIONE
Ha citato l’alluvione. Come vede la ricostruzione?
"Sono certo che arriverà, ma sono preoccupato per i tempi. E non ci si rende davvero conto di quanto incida sulla gente quella preoccupazione quando piove, questa incertezza per il futuro".
Lei vive in seminario, in via Lunga. Una delle zone colpite nel maggio 2023.
"Sono anch’io un alluvionato! A settembre, quando ho visto l’acqua coprire la strada, mi sono chiesto: sta per succedere un’altra volta? Se l’argine si fosse rotto nuovamente nello stesso punto, sì. La differenza è che stavolta il fiume è esondato a Villanova, dove sono poi stato a trovare quelle famiglie colpite".
Diceva dei tempi. Cosa non la convince?
"Abbiamo appena recuperato parte della parrocchia di San Benedetto. Grazie a banche e privati. Avrei un sogno".
Quale?
"Non vorremmo riaprire l’oratorio dei Romiti di nuovo vicino al fiume, ma accanto alla chiesa nuova, dall’altra parte della strada, in un punto in cui l’acqua non è arrivata. Uno degli uomini dell’ex commissario Figliuolo mi ha detto che non si può, non è possibile delocalizzare. Ma se restiamo dov’era rischiamo che ricapiti, in autunno c’è mancato pochissimo... E lo stesso riguarda il seminario: io vorrei ricollocare i libri non sotto terra, come prima".
A proposito: Orogel ha detto che a luglio dovrete liberare la cella frigorifera in cui ci sono i volumi finiti sott’acqua.
"Ci sono stato, a 26 gradi sotto zero, con un giubbotto adatto. Mi ha impressionato la grandezza dei frigoriferi: un luogo immenso. Ho ringraziato personalmente il presidente Bruno Piraccini. Ma dovremo trovare un altro posto".
È vero che il restauro della Biblioteca nazionale di Firenze è lentissimo?
"Mi hanno detto che ci sono ancora volumi colpiti dall’alluvione del 1968. Nel frattempo si è fatto anche altro, ovviamente. Noi, comunque, ragioniamo per priorità, soprattutto sui volumi del Cinquecento: vorrei tornare a esporli. Anche se la Sovrintendenza tutela tutte le edizioni precedenti al 1940".
IL NODO DEL PNRR
I tempi, insomma, sono un problema.
"Anche per il Pnrr. Noi abbiamo avuto finanziamenti per la messa in sicurezza anti-sismica di tre chiese, in una sorta di ‘secondo tempo’: Duomo, Fornò e la Badia di Dovadola dove è sepolta la beata Benedetta Bianchi Porro. Anche se abbiamo avuto l’ok più tardi, la scadenza resta il 30 giugno 2026. E i progetti non sono ancora esecutivi, vanno approvati, una cosa impedisce l’altra".
È preoccupato?
"Vorrei che il Duomo fosse a posto per il 2028, i 600 anni della Madonna del Fuoco, ma non è facile. Almeno, stando ai sondaggi effettuati, la stabilità dell’edificio è migliore del previsto".
IL FUTURO DELL’ABBAZIA
San Mercuriale, invece, attende le lunette.
"Il restauro è in corso. Dopo, però, andranno protette di notte".
Vuole chiudere il chiostro? Se ne parla da tempo...
"Il dibattito è aperto. Si è ragionato anche di un vetro sulle lunette, ma l’ipotesi non è convincente. Mi limito a dire questo: se le restauriamo e le lasciamo alla mercè di tutti, siamo punto e a capo. Il problema può esserci anche di giorno, ma quello è un luogo di passaggio e, aggiungo, bellissimo. Almeno di notte, però, va protetto".
Il campanile è restaurato e visitabile. Ma solo con volontari.
"È partito il progetto ‘Chiese aperte per il Giubileo’, coinvolgendo i pensionati. Ma vorrei rivolgermi anche agli studenti, penso per esempio al Liceo Artistico, come guide. Certo, la prospettiva è quella di una gestione più ampia, insieme al Comune e alla Fondazione. Ne parleremo".
LA CHIESA CHE CAMBIA
Lei ha riorganizzato molte parrocchie. Ha altre novità?
"Quella di Meldola è diventata unica. Non solo un’unità pastorale: le parrocchie erano comunque 7. Ora ce n’è una sola, dedicata alla Madonna del Popolo".
Può spiegare la differenza? Il parroco è sempre don Enrico Casadio.
"Sì. Ora la gestione amministrativa sarà un po’ più semplice. È un frutto del cammino di anni dell’unità pastorale, iniziato con don Mauro Petrini, al punto che non c’è stata nessuna reazione negativa. Vorrei proporlo a tutte le 25 unità pastorali, perché i nostri sacerdoti, che non sono tantissimi, abbiano più tempo per la loro missione, dedicandone meno alla burocrazia. Ma aspetto che siano le comunità a decidere tempi e modi".
Allo stesso modo, anche le diocesi di Forlì-Bertinoro e Cesena-Sarsina possono unirsi sotto un unico pastore?
"L’ipotesi mi pare tramontata. E io non ho mai inteso ‘candidarmi’. Quello che conta è camminare e lavorare insieme: è quello che sta succedendo fra le Chiese della Romagna".
A proposito: è emerso che lei ha incontrato in campagna elettorale, separatamente, sia Michele de Pascale sia Elena Ugolini. Com’è andata?
"Ho voluto che incontrassero non solo me, come talvolta succede in questi casi, ma anche alcuni dei miei più diretti collaboratori. Abbiamo formulato loro alcune proposte su vita, scuola paritaria, alluvione e migranti. In entrambi i casi è stato un momento molto bello e costruttivo".
Che impressione le ha fatto il vincitore, de Pascale?
"Buona, è molto preparato, ma per la verità anche Elena Ugolini. Mi fa piacere, piuttosto, aver visto che lui e Zattini hanno dichiarato pubblicamente la volontà di collaborare: questo è importante per i cittadini".