Simona Galassi, lei è stata campionessa mondiale di pugilato dei pesi supermosca Ibf negli anni 2011-2012. Nei panni di Angela Carini, pensa che avrebbe abbandonato il match contro Imane Khelif, atleta algerina affetta da iperandrogenismo femminile?
"Non credo. Anche se avessi voluto protestare, avrei scelto modalità diverse, senza abbandonare l’incontro. Penso, però, che non vadano giudicate né Carini, né Khelif: l’una ha preso la sua decisione e ne ha subito le conseguenze, l’altra ha ricevuto l’ok dal Cio e ha affrontato l’incontro, come suo diritto". Carini ha dichiarato di aver sentito troppo male durante l’incontro e che la sua scelta è stata dettata solo da questo.
"Sì, è possibile. Penso che il dibattito social nato prima del match abbia fatto molto male: forse Carini è partita già con un preconcetto o comunque un forte dubbio che l’ha portata a salire sul ring meno disposta a soffrire e dare il massimo per portare a casa l’incontro. È sbagliato pensare di risolvere una questione tanto complessa sui social".
Come si dovrebbe risolvere?
"Bisogna chiarire le cose tra Cio e federazioni e concordare criteri certi e scientifici per la tutela dei pugili stessi".
Quando lei combatteva si usava fare test genetici e ormonali alle pugili?
"Sì, certo. Quando ho cominciato mi è subito stato fatto fare un test genetico sul sesso. Sul momento mi fece ridere perché mi sembrava un’analisi superflua, ma mi spiegarono che ci sono state atlete che hanno mascherato, creando situazioni di iniquità e mettendo anche a repentaglio la propria salute".
Le è mai capitato di incontrare colleghe con caratteristiche fisiche apparentemente ambigue?
"Sì, spesso, ma non ne è mai nato un caso. Al massimo scherzavamo tra noi e ci dicevamo: ‘Sicuri che ha passato il test genetico?’. Ma erano solo battute: se si trovavano lì significava che avevano avuto l’ok".
Imane Khelif in passato ha perso contro altre pugili donne, dimostrando di non essere imbattibile. Lei ha mai vinto contro una donna con spiccate caratteristiche maschili?
"Ricordo un caso in particolare. La pugile Loredana Piazza combatté con una ragazza che di femminile, alla vista, non aveva nulla. Quell’incontro lo perse apparentemente quasi senza combattere, pur essendo tecnicamente molto più brava. Quando le chiesi cosa fosse successo mi rispose come Carini: ‘faceva malissimo’. Poi, tempo dopo, anche io combattei contro quella stessa pugile".
Come andò?
"Ammetto che, memore di quell’episodio, ero un po’ preoccupata, ma salii sul ring e puntai sulla supremazia tecnica. Durante l’incontro non soffrii più di tanto e vinsi bene, senza troppi problemi. Questo dimostra come tutto sia soggettivo, dipenda dalle atlete e dalle circostanze specifiche dell’incontro".
Il caso ’Khelif’ ha sollevato una questione legata anche all’etica sportiva. Può essere un punto zero dal quale ripartire con nuovi presupposti?
"Lo spero. Spero che quello che è successo alle Olimpiadi porti a pensare con serietà a una questione molto complessa che deve essere oggetto di studi importanti per il bene delle atlete e dello sport".