Daniele Severi ha sparato al fratello alla testa, poi lo ha decapitato, infine ha buttato il corpo in un dirupo, in località Ca’ Seggio di Civitella, la sera del 21 giugno 2022, prima di cena. Il movente? La gestione del podere in cui Franco viveva. Queste – circa 90 giorni dopo la sentenza di primo grado – sono le conclusioni a cui è arrivata la sentenza che condanna Daniele, 65enne meldolese ex autista del 118: ergastolo, in quanto colpevole di omicidio volontario con le aggravanti della premeditazione e dei motivi abietti, nonché di occultamento di cadavere. Non è stata contestata invece la crudeltà. Lo stalking è assorbito nel reato di omicidio. Non sarà applicato l’isolamento diurno in carcere. I cinque fratelli di Franco (costituitisi parti civili e rappresentati dall’avvocato Max Starni) dovranno avere da Daniele 100mila euro a testa. Nelle 112 pagine della sentenza, la presidente Monica Galassi (affiancata in corte d’assise dal giudice Marco De Leva e da sei giudici popolari) ha rimarcato il peso dell’impianto accusatorio, benché l’imputato si sia sempre proclamato innocente. Non sono mai stati trovati né la testa di Franco né l’arma del delitto o l’attrezzo usato per il taglio ("ascia, scure, machete, accetta o sega elettrica", ipotizza la sentenza).
LA FIAT PANDA GRIGIA
Gli inquirenti hanno riscontrato il movimento di una Fiat Panda grigia lungo la Bidentina, tra Meldola e Civitella. "Non è la mia", ha sempre detto Daniele. Mentre la difesa (rappresentata dagli avvocati Massimiliano Pompignoli e Maria Antonietta Corsetti) ha puntato sul fatto che le telecamere lungo il percorso non abbiano mai messo a fuoco la targa. Ma i giudici non hanno avuto dubbi: "È certo – scrivono – che si tratta dell’auto dell’imputato perché, pur non essendo visibile la targa, le particolari caratteristiche la rendono indubbiamente riconoscibile". La sentenza elenca "la parte interna dei cerchioni annerita, l’assenza del copriruota, il tappo di rifornimento collocato sul paraurti posteriore destro, il portapacchi, l’assenza di una porzione del paraurti laterale in plastica". Secondo i giudici, Daniele ha tentato di modificare l’auto dopo l’omicidio "senza saper spiegare il motivo": il 22 giugno, poco prima che venisse trovato il corpo di Franco, smonta il portapacchi ("faceva rumore quando viaggiavo") e vernicia di nero la fiancata in cui manca il paraurti. Per la corte, "intervento chiaramente finalizzato a rendere non riconosciubile l’auto". E il viaggio verso Civitella per uccidere Franco? "In direzione Piandispino e Voltre", luoghi adatti a una Panda a 4 ruote motrici, "tragitto alternativo che certamente conosceva", in cui non ci sono telecamere.
L’ARMA DEL DELITTO
Non poteva essere la pistola ammazzabuoi buttata vicino a una proprietà di Daniele. Né parte di un’arma che aveva venduto tempo prima. Dov’è allora? Daniele aveva una pistola? Ufficialmente no. Ma la sorella Milena ha riferito che, una volta, l’imputato estrasse un’arma dalla macchina e gliela puntò contro: l’episodio è oggetto di un ulteriore procedimento penale non ancora arrivato a sentenza. Ad ogni modo, annota la corte, il cane anti-esplosivo appositamente addestrato ha "percepito senza esitazione tracce olfattive di polvere da sparo" nel cofano anteriore della Panda e in un angolo del garage. E questo è ritenuto "indicativo" benché i rilievi non abbiano trovato esplosivi. Pare certo comunque che l’assassino abbia sparato alla testa di Franco e gliel’abbia tagliata al fine di non fornire indizi sul tipo di arma.
IL SANGUE DI FRANCO
Altro aspetto chiave: una macchiolina sulle scarpe di Daniele. Il quale ha escluso di aver fatto a pugni con Franco, anche in passato. Dunque, i giudici sono convinti che non potesse esserci stata che un’occasione: il momento dell’omicidio. Per le caratteristiche della goccia, dice il collegio giudicante, "l’utilizzatore delle scarpe doveva essere in stretta contiguità con la sorgente sanguinante e in un momento simultaneo rispetto all’evento lesivo", perché "il sangue era fluido e non ancora coagulato". Perché allora non sono state trovate più tracce? Semplice, è la conclusione dei periti: perché Daniele "utilizzava un doppio guanto protettivo", "come sono soliti fare gli operatori della Croce Rossa". Lui stesso aveva in auto "decine di paia di guanti".
I TELEFONI
A un certo punto del processo la moglie di Daniele ha cambiato versione. Le sue due chiamate ai telefoni del marito non volevano far squillare e così ritrovare i dispositivi momentaneamente persi: stava invece cercando l’uomo che, all’1.30 circa di notte, non era coricato al suo fianco. "Il dato delle due telefonate effettuate personalmente dalla donna rappresenta sicuramente un riscontro inconfutabile del fatto che Daniele Severi non fosse stato a casa nella serata del 21 giugno e nella notte tra il 21 e il 22, di fatto mancando da casa dal primo pomeriggio del 21 giugno". Un telefono era rimasto a Meldola, l’altro scarico e senza batteria: "Elementi univocamente interpretabili come sintomatici della volontà di non farsi localizzare in prossimità dell’orario compatibile con l’omicidio". Daniele ha detto di essere stato nella propria attrezzaia a Carpena, per poi lavorare successivamente nel garage. Ma le telecamere non lo mostrano lungo il percorso abituale. "Di tutti i congiunti della vittima, solo il suo alibi non era solido". Un alibi definito "falso", condito da vari "non ricordo": la sentenza evidenza le presunte contraddizioni su come ha trascorso il tempo anche il giorno dopo.
LE MINACCE
Dal 2014 in poi sono numerosi gli episodi di conflitto tra Daniele e i fratelli per la gestione del fondo agricolo, sfociati in una serie di processi che hanno visto l’imputato condannato per stalking, col divieto di avvicinarsi a Ca’ Seggio. "Un’ossessione", secondo l’assise: questo irrobustisce, nell’ottica dell’accusa, il quadro in cui è maturato il delitto. Inoltre, nel processo è emerso che in più di un’occasione Daniele avrebbe proferito una minaccia specifica: "Vi taglio la testa". In un caso, Franco litigò con il fratello perché aveva tagliato delle rose. Con la sega elettrica ancora in mano, avrebbe detto alla sorella: "Se Franco non va via, gli taglio la testa, lo spacco in due", il tutto "dando gas alla motosega".
LA FOTOTRAPPOLA
L’8 luglio 2022, in una perquisizione successiva, i carabinieri trovano nella cantina di Daniele l’apparecchio che Franco aveva installato vicino alla sbarra con cui difendeva il proprio podere, in primis dalle "continue incursioni" del fratello. Era stata installata l’8 giugno, meno di due settimane prima della morte. Era sparita uno o due giorni dopo. Messa fuori uso dall’ex autista del 118? Lui ha detto di averla trovata a terra, in un parcheggio in cui si era fermato a fare pipì. La circostanza, ad ogni modo, secondo i giudici colloca Daniele con una certa costanza nei pressi del luogo del delitto. L’imputato, invece, ha dichiarato di non ricordare da quanto tempo non saliva a Ca’ Seggio.