MAURIZIO BURNACCI
Cronaca

Sindrome ‘da ufficio’: “L’azienda mi nega lo smart working, faccio causa”

Nel 2004 Gianluca Grandini, 53 anni, venne travolto da un rotolo di lamiere che gli mise fuori uso la gamba destra. Ora soffre di una patologia psichiatrica collegata all’infortunio: davanti alla scrivania si blocca

Smart working negato a un dipendente che soffre di 'Sindrome ansiosa depressiva con disturbo dell’adattamento’

Smart working negato a un dipendente che soffre di 'Sindrome ansiosa depressiva con disturbo dell’adattamento’

"Purtroppo no, praticamente non sono mai riuscito a farlo". Il suo sorriso s’inabissa in un battito di ciglia sugli occhi di metallo nero e nelle viscere della barba da timoniere di buona stazza. Gianluca Grandini, bertinorese, il 4 giugno 2004 aveva 32 anni; sua figlia compiva 13 giorni. E solo per quei tredici giorni Gianluca ha potuto giocare con sua figlia: poi un rotolone di quintali di lamiera gli scivolò addosso all’interno di un capannone della Marcegaglia di via Mattei; Gianluca perse per sempre l’uso della gamba destra. Distacco definitivo dei nervi dalla rotula in giù. Niente più sensibilità in quel tratto di corpo. Da vent’anni la sua vita è così. Un gambaletto di carbonio progettato da un ingegnere biomedico lo tiene in piedi. Ma a sorreggerlo, a testa alta, è l’innata dignità e l’amore della famiglia, la moglie, e la figlia, che oggi fa l’università a Venezia.

La sua battaglia non è però finita col risarcimento di 160mila euro ottenuto, qualche anno fa, con un verdetto del giudice del lavoro. Anzi, comincia ora. Ricomincia. Con una data: il 26 settembre, tra due giorni. Di nuovo in un’aula tribunalizia, a Mantova, sede legale della Marcegaglia. Gianluca riprende da lì il suo viaggio, inestricabile, per la giustizia della legge, affiancato dall’avvocato Giuseppe Mazzini.

Perché quest’altro duello? Perché Gianluca ha una malattia che va oltre la sua gamba, e oltre pure il dolore inestinguibile alla schiena, che lo costringe ad assumere farmaci e psicofarmaci, e che l’ha obbligato all’installazione d’un macchinario alla colonna vertebrale, un neurostimolatore midollare. Questa nuova malattia è stata "clinicamente accertata", chiosa l’avvocato Mazzini. Si chiama ‘Sindrome ansiosa depressiva con disturbo dell’adattamento’. A metterla nero su bianco è lo psichiatra forense Renato Ariatti, chiamato a redigere un referto dall’avvocato Mazzini.

Il fenomeno, in medicina, è ricorrente. E viene sigillato in tre parole: si tratta di una "spina irritativa" del malato destinata nella maggioranza dei casi ad un "aggravamento". Il paziente è incapace "di rispondere a un determinato ambiente", che di solito è il contesto di uno choc. In questo caso, è il luogo di lavoro. Gianluca non può più varcare la soglia del luogo di lavoro. Se lo fa, viene assalito da una sorta di annichilimento generale. Sudorazione. Blocco mentale. Tachicardia. "Non dipende da colleghi o dirigenti, o tantomeno dalla struttura fisica del posto. No – precisa Gianluca –. Ho un ottimo rapporto con tutti. Il fatto è che non appena vado nel posto di lavoro, mi blocco". Si tratta della prima istanza giuslavoristica in Italia per questo tipo di malattia.

Dopo l’infortunio del 2004 – e dopo mesi e mesi di riabilitazione –, Gianluca, con la sua menomazione del 40% di invalidità permanente, viene trasferito in ufficio, con un orario part time e con il riconoscimento della legge 104. Ora però non ce la fa più. "Ho chiesto lo smart working permanente. Lavoro sul computer, e tutto quello che faccio in ufficio lo posso tranquillamente fare a casa. Ma la risposta dell’azienda è stata un no secco, sempre", dettaglia Gianluca. "In effetti, da tecnico giuridico, pensavo che un accordo prima o poi il mio assistito lo avrebbe trovato con la controparte – precisa l’avvocato Mazzini –. Anche perché lo stesso medico dell’azienda è in linea con conclusioni dello psichiatra da noi interpellato". Tra i riferimenti giuridici presi come plinti portanti del ricorso al giudice dell’avvocato Mazzini, compaiono l’articolo 2087 del codice civile (tutela delle condizioni di lavoro), e il "benessere psicofisico" del lavoratore, concetto centrale della disciplina dell’organizzazione del lavoro dell’Unione europea e dell’Onu.

Per Gianluca questo ricorso rappresenta il completamento della battaglia; perché lui ha sì ottenuto il risarcimento per "infermità biologica e danno morale", ma nessun giudice, compresa la Cassazione, gli ha riconosciuto il "danno esistenziale". Ossia, le conseguenze che quell’infortunio ha generato nella vita privata e domestica del 53enne di Bertinoro. "Ho anche provato fare il sitting volley, ma ho smesso per i contraccolpi alla schiena. Ora non posso prendere più troppi certificati, per i conteggi imposti per legge, sennò rischio il posto di lavoro – argomenta Gianluca –. Sono stato costretto a questa nuova causa. E praticamente, non ho mai potuto giocare con mia figlia".

La risposta dell’azienda

La battaglia di Gianluca. Sindrome ’da ufficio’:: "L’azienda mi nega lo smart: faccio causa"
Lo stabilimento della Marcegaglia di via Mattei a Forlì

Secondo quanto si apprende da fonti aziendali da “molti anni adattiamo il lavoro alle esigenze del dipendente e lo abbiamo sempre seguito e tutelato. Lo smart working costituisce per noi un problema in uno stabilimento in cui nessuno ne usufruisce e inoltre sarebbe complicato anche lo svolgimento delle attività a cui è adibito l’impiegato”. Ma Marcegaglia sta comunque valutando la situazione.