REDAZIONE FORLÌ

Il rebus della Fiera. Comune e Fondazione devono mettere soldi. Oppure una fusione

La Camera di Commercio ha il 27,5%: ora che lascia la compagine, gli altri due soci ‘forti’ (rispettivamente al 31,2% e al 21,3%) possono comprarne le quote. Serve un milione di fatturato.

La Camera di Commercio ha il 27,5%: ora che lascia la compagine, gli altri due soci ‘forti’ (rispettivamente al 31,2% e al 21,3%) possono comprarne le quote. Serve un milione di fatturato.

La Camera di Commercio ha il 27,5%: ora che lascia la compagine, gli altri due soci ‘forti’ (rispettivamente al 31,2% e al 21,3%) possono comprarne le quote. Serve un milione di fatturato.

Chi si farà carico delle 46mila azioni della Fiera di Forlì dopo che la Camera di Commercio della Romagna ha comunicato il suo recesso dalla società? Azioni che corrispondono al 27,5% delle quote; gli altri soci principali sono Livia Tellus Romagna Holding, della quale fanno parte le amministrazioni comunali del territorio e ovviamente in primis il Comune di Forlì: è socio di maggioranza relativa con il 31,2% delle quote. Segue la Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì con il 21,3%. Quote minori per Intesa Sanpaolo (7,26%) e Provincia di Forlì-Cesena (5,08%). Questo risulta dal sito della Fiera, benché non aggiornato.

Nei giorni scorsi Carlo Battistini, presidente della Camera di Commercio, ha confermato al Carlino la volontà dell’ente di uscire dalla compagine societaria. Una volta comunicato il recesso – basta una semplice pec, la posta elettronica certicata – la Camera di Commercio potrà ritenere chiusa la propria esperienza nella compagine societaria di via Punta di Ferro. La domanda è: chi si farà carico delle azioni dell’ente camerale, con conseguente esborso economico? La logica dice che ciò spetterà ai soci attuali, che pro-quota dovranno sopportare un sacrificio economico. La cosiddetta ‘legge Madia’ (dal nome dell’ex ministra della Pubblica amministrazione) prevede che gli enti pubblici debbano dismettere le quote di società partecipate che, dopo qualche anno, non raggiungono un milione di euro di fatturato. Senza liquidità, si può arrivare alla chiusura.

Il Comune di Forlì, che detiene il 78% Livia Tellus, ufficialmente non prende posizione (per ora) sulla vicenda. Fonti del municipio fanno sapere che l’Amministrazione non ha particolarmente gradito il ’regalo’ natalizio incartato dalla Camera di Commercio, che ha deciso di uscire dalla Fiera di Forlì, motivandolo con il mancato avvio di un processo di aggregazione con altre realtà vicine (vedi Cesena e Rimini). "E Forlì ha un bilancio troppo debole per andare avanti da sola", è la sintesi del pensiero di Battistini, già reso noto a mezzo stampa. Dal Comune di Forlì però fanno capire che se il processo non è stato mai avviato (in sostanza si è tenuta solo qualche riunione per discuterne), una parte della responsabilità è anche della Camera di Commercio.

Venendo a questioni più prosaiche – cioè ai soldi –, a inizio 2025 i soci della Fiera nomineranno un perito che dovrà fare una valutazione sul capitale sociale dell’ente. A quel punto i soci rimanenti, preso atto dell’addio della Camera di Commercio della Romagna, faranno le opportune valutazioni. Ognuno, come detto, potrebbe essere chiamato ad aumentare le proprie quote, assorbendo quelle lasciate libere dalla Camera di Commercio e pagandole l’ammontare corrispondente. Indicativamente tra la nomina del perito e la produzione del suo lavoro, potrebbero servire un paio di mesi.

La ricapitalizzazione, pur possibile, è uno scenario comunque complesso. Difficile che la Fiera di Forlì possa continuare a camminare con le proprie gambe: impossibile dare ora una tempistica, ma l’aggregazione con Cesena e Rimini sembra essere una condizione non più rinviabile. Quando, e come, dovranno deciderlo i soci (e gli esponenti politici dei rispettivi territori).

Luca Bertaccini