Una professione "fatta di rilievi, progetti, cantieri e di fantasia": così Fausto Pardolesi descrive il suo lavoro all’ex Genio Civile (oggi si chiama ’Ufficio sicurezza territoriale e Protezione civile’), un impiego che ha svolto per 43 anni. Ora per lui è arrivato il momento della pensione, un traguardo tagliato con otto mesi di ritardo rispetto al previsto.
"A tutti gli effetti ero già stato pensionato la scorsa primavera – spiega – ma poi mi hanno chiesto di rimanere ancora un po’, visto il momento così difficile che richiedeva l’impiego di tutte le esperienze". Il momento al quale Pardolesi fa riferimento non è solo "difficile", ma è il più difficile di tutti, in assoluto: parliamo dell’alluvione del maggio 2023 e delle ulteriori esondazioni successive, l’ultima in settembre.
Prima di arrivare a quel momento epocale, però, c’è stata una lunga carriera: "Prima la Regione, poi il Genio Civile, Servizio difesa del suolo, Servizio tecnico di bacino e Ufficio sicurezza territoriale e Protezione civile". Fino a diventare responsabile per i corsi d’acqua nella provincia di Forlì-Cesena. "Ho iniziato nel 1982 a Rimini. Allora non c’era l’informatica, si faceva tutto a mano: calcoli di seno e coseno, angoli, goniometri, carta lucida, china, gomme e lamette…". Paradossalmente, spiega, "c’era anche meno burocrazia rispetto a oggi, ogni operazione era più rapida e immediata, con tutti i pro e i contro". Il nostro territorio entra poco dopo nella sua storia. E Fausto nella nostra. "Poi sono passato all’ufficio di Forlì-Cesena dove i corsi d’acqua di competenza erano Savio, Pisciatello, Rubicone, Montone, Rabbi, Ronco e Bevano". Pardolesi cita "i maestri che ci hanno insegnato la rettitudine: Peretti, Giorgetti, Gullotta" e gli anni trascorsi al lavoro a fianco del fratello Franco, andato in pensione pochi anni fa.
Tante le opere da ricordare, dalla pulizia degli alvei alla rimozione degli abusi edilizi. Tra gli interventi più difficoltosi, non c’è una piena o un’esondazione ma una frana, quella di Corniolo, avvenuta nel 2010 a monte di Santa Sofia. Un’enorme massa di terra che si staccò fino a travolgere la strada e a formare, oggi, un laghetto vicino al letto del fiume Bidente: "Rammento bene quando mi feci carico di quel lavoro. Andammo sul posto e non sapevamo nemmeno da dove partire. Servirono interventi maestosi che durarono mesi, addirittura anni".
Ma su tutti il fatto che più ha segnato la carriera di Pardolesi è senz’altro quello avvenuto negli ultimi anni di lavoro: l’alluvione del maggio 2023. "Ho davvero sentito che in quel momento cambiava tutto. Sono arrivati tanti soldi tutti insieme e c’era un’urgenza estrema per ogni operazione. Noi degli uffici tecnici territoriali, così come dei Comuni e di tutti gli enti coinvolti, abbiamo abbassato la testa e lavorato, quanto non ci si crede, con l’obiettivo principale di dare un aiuto e un po’ di coraggio a chi ha subìto danni".
Di quei giorni Fausto non ricorda solo il fango e l’orrore, ma anche la scintilla di umanità che brillava nell’agire dei tanti giovani volontari che si sono spesi per gli altri, senza chiedere nulla in cambio. E il suo ruolo nell’emergenza qual è? "La mia professione – ragiona Pardolesi – non ha schemi da seguire che portino a soluzioni certe. Si deve per forza andare sul posto e cercare di capire come muoversi, agendo secondo coscienza, nella consapevolezza che ci si stanno assumendo responsabilità importanti e che l’errore è sempre dietro l’angolo. È un impegno anche psicologico che a lungo andare può diventare gravoso".
Ora che il tempo del riposo è arrivato, Pardolesi pensa di dedicare più tempo alla bici, al pallone (passione che condivide da sempre col fratello Franco), a lunghe camminate e magari di riprendere in mano la chitarra, dopo tanti anni. "Sono anche pronto a dare una mano – precisa salutando coloro che hanno condiviso il suo lavoro –, soprattutto a trasmettere informazioni ed esperienza a chi ne avrà bisogno".