Forlì, 16 gennaio 2024 – Gabriel Corbelli, 38enne riminese Rimini e dirigente Aics del settore Lgbtqia+, è stato la ‘scintilla’ che ha innescato a una serie di cambiamenti per rendere più inclusiva la pratica sportiva e le competizioni ludiche dell’associazione. La sua esperienza di transizione, da donna a uomo, è la storia che ha dato il via al progetto di tesseramento Alias per la popolazione queer, ovvero coloro che vivono un’incongruenza di genere.
Gabriel, quando ha capito che non voleva più essere una donna?
"A sei anni sentivo già il malessere di vivere in un corpo che non sentivo mio. Da giovane quando ho messo il primo binder, una fascia che comprime il seno fin quasi ad annullarlo, ho detto ‘sono io’".
Qual è stato l’iter che ha intrapreso per cambiare sesso?
"I protocolli erano diversi allora da quelli di oggi. L’avvio del percorso prevedeva una serie di incontri con lo psicoterapeuta che doveva verificare che soffrissi di incongruenza di genere. Una volta certificata la disforia si poteva procedere con la terapia ormonale sostitutiva; il testosterone serviva per sviluppare i tratti tipicamente mascolini. Durante l’iter venivo seguito da un endocrinologo che controllava periodicamente, e lo fa tuttora, il mio stato di salute".
Una volta assunti i tratti maschili, quali sono stati i passi successivi?
"Durante la terapia ormonale il protocollo prevede un anno dove la società ti riconosce nel genere d’elezione. Dopo questo periodo di passaggio, è possibile fare domanda al tribunale per accedere agli interventi chirurgici demolitivi, nel mio caso seno, utero e ovaie. Dopo queste operazioni, si richiede la rettifica dei documenti".
Quanto tempo è servito per concludere il percorso di transizione?
"È iniziato nel 2011, avevo 26 anni, ed è terminato nel 2018. Sette anni, lunghi e faticosi, con tanta burocrazia".
Quali sono stati i disagi vissuti in quei sette anni di trasformazione?
"Per me sono stati un calvario. Mi sono ritrovato con l’aspetto da maschio ma con tutti i documenti al femminile. Per fare un esempio banale, quando la polizia ti ferma per strada mentre stai guidando, sei costretto ogni volta a fare un coming out , dichiarando che sei una persona in transizione. Ma ho vissuto anche momenti peggiori".
Per esempio?
"Quando i miei caratteri estetici hanno iniziato a cambiare ho preso la decisione di lasciare il mio lavoro a contatto con il pubblico. Per otto mesi non ho trovato un impiego perché i miei documenti non erano allineati con il mio aspetto. Per sopravvivere ho dovuto chiedere prestiti ai miei genitori e a conoscenti. Lì capisci che un pezzo di carta, come una patente, è più importante della persona stessa".
Lo sport l’ha aiutata?
"Sin da piccolo ho praticato il karate, la palestra è sempre stato il mio luogo sicuro. Non ero mai a disagio perché grazie al kimono nessuno poteva vedere la mia femminilità. Ero solo un’atleta come tanti altri".
Ha mai vissuto episodi di discriminazione nello sport?
"Sì, è capitato. Un allenatore continuava a chiamarmi al femminile, nonostante avessi già i tratti maschili e mi fossi già sottoposto agli interventi. Quando poi sono entrato nello spogliatoio degli uomini, mi ha cacciato via in malo modo sostenendo che dovevo andare in quello delle donne. Ho dovuto interrompere la pratica per un periodo. Se avessi avuto la tessera Alias non avrei vissuto tutto ciò".
Com’è arrivato in Aics?
"Dopo 32 anni di karate, ho aperto una palestra di arti marziali nella mia città. Quando è stato il momento di cercare un ente a cui affiliarsi, ho trovato alcune porte chiuse a causa della mia transizione. In Aics, invece, ho conosciuto persone con il reale desiderio di aiutarmi".
Il tesseramento Alias è un’idea sua?
"In Aics ho trovato persone che mi hanno dato fiducia. Ho proposto al consiglio nazionale il tesseramento con identità alias, consapevole che la mia esperienza personale poteva aiutare tanti uomini e donne che si sentono sbagliati nel proprio corpo. Ho pianto di gioia quando il progetto ha preso il via perché anche noi abbiamo diritto di esistere".