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Come Erin Brockovich. Emanuela motore del caso: "Una presa di coscienza"

La sorella della 31enne: "Ho convinto le colleghe di Sara, è già un successo"

Come Erin Brockovich. Emanuela motore del caso: "Una presa di coscienza"

È la protagonista di questa storia. Non compare, ufficialmente, nei crediti del processo (c’è sua madre come parte civile). Ma senza Emanuela, sorella di Sara, tutta questa trama attuale, ora finalmente dal tono processuale, sarebbe, forse, rimasta sottotraccia, come un complesso, inespresso, ordito. Emanuela, alla maniera di Erin Brockovich, immortalata nel film-documento del Duemila di Steven Soderbergh ’Forte come la verità’ con Julia Roberts, s’è invece messa al telefono. È balzata in macchina. Ha rintracciato una a una, fissandole negli occhi, le colleghe di Sara, convincendole che la verità, così vana e volubile nella realtà quotidiana, nella tragedia, come quella di Sara, può invece assumere una forma solida, unica, addirittura. Sette di quelle dottoresse chiamate da Emanuela oggi sono parti civili nel processo. Ben ventuno di loro hanno testimoniato il loro disagio sul lavoro durante l’incidente probatorio.

Emanuela, le difese hanno formalizzato la richiesta di rito abbreviato e il giudice ha accolto le parti civili: è un nitido fischio d’inizio concreto del processo. Cosa prova in questo momento?

"Sono serena, finalmente. Il processo comunque si farà. Io temevo di non arrivare nemmeno all’incidente probatorio".

Le professioniste colleghe di Sara coinvolte in questo caso si sono evidentemente fidate di lei. Come le ha convinte?

"Non lo so, ho detto solo la verità, raccontando com’era la mia Sara. Sì, evidentemente si sono fidate. Hanno deciso di farsi sentire. Questa cosa la sento come una presa di coscienza collettiva. Tutte si sono messe insieme, con la forza del coraggio. Già questo è un esempio da rimarcare, anche da un punto di vista sociale".

Un giudice che valuta un caso di presunto mobbing collettivo sul lavoro sotto il profilo penale: già questo è un fatto relativamente nuovo nel panorama giuridico. Ha fiducia in una sentenza per voi favorevole?

"Ho fiducia, certo. Ma come dicevo prima è già positivo il fatto di essere giunti a questo punto, nel nome di Sara. Un verdetto a noi favorevole sarebbe un messaggio più forte, ovvio. E servirebbe da amplificatore, da esempio per tutti e, nello specifico, per tutte le donne che sul lavoro si sentono vessate o non valorizzate come dovrebbero. Sì, un giudizio a nostro favore, da parte di un giudice penale, avrebbe un valore fortissimo, che forse potrebbe anche rompere il muro di abitudine quotidiana con cui a volte sul luogo di lavoro si accettano certe situazioni, perché comprensibilmente tutti abbiamo bisogno di lavorare per vivere. Ma andare oltre l’abitudine del dolore sarebbe veramente importante".

Emanuela, comunque vada, questo è un punto d’arrivo o di partenza?

"Tutte e due le cose".

Maurizio Burnacci