SERGIO TOMASELLI
Cronaca

Città in rivolta dopo la barbara esecuzione

Il 24 marzo 1944, il Tribunale Militare, riunito nella caserma ‘Ettore Muti’, condannò a morte cinque giovani dichiarati renitenti alla...

Il 24 marzo 1944, il Tribunale Militare, riunito nella caserma ‘Ettore Muti’, condannò a morte cinque giovani dichiarati renitenti alla leva: Dino e Tonino Degli Esposti di Teodorano, Agostino Lotti di Galeata, Massimo Fantini e Giovanni Valgiusti di Civitella. Stando alla ricostruzione degli esperti di storia locale Gabriele Zelli e Marco Viroli, nel loro volume ‘I giorni che sconvolsero Forlì’, si trattava di un’accusa pretestuosa, figlia di quei giorni orribili. In quelle stesse ore, a Roma, si consumava l’eccidio delle Fosse Ardeatine.

Diversi giovani si erano presentati in caserma per aver ricevuto la cartolina di chiamata alle armi nelle formazioni della Repubblica di Salò. Alcuni, nell’attesa, avevano deciso di andare al mercato ambulante dove vennero fermati da militari e riaccompagnati nella caserma con l’accusa di diserzione. Che significava pena capitale. Fu così che montò la rivolta dei forlivesi.

La notizia del verdetto si diffuse velocemente. Molte donne accorsero all’ingresso della caserma implorando la sospensione della condanna. Nonostante la vibrante protesta, la sentenza venne ugualmente eseguita, nel cortile, di fronte a giovani militari italiani di stanza. Questo è il drammatico racconto di quei momenti nelle parole di Sergio Gianmarchi: "Li misero al muro. Ogni soldato del plotone aveva un fascista con il mitra puntato alla schiena. Alle ore 11.15 diedero ordine di sparare, ma i soldati li ferirono. Gli abitanti in via Ripa, sentendo gli spari e le grida dei ragazzi, andarono alle finestre e sui tetti delle case a protestare. Un ufficiale fascista diede il colpo di grazia".

La notizia ebbe vasta eco in città. La domenica molte donne si recarono al cimitero per pregare e deporre fiori sulle tombe dei cinque ragazzi uccisi. Il lunedì le maestranze delle grandi industrie di Forlì interruppero il lavoro. Un corteo di circa duemila persone si mise in marcia per protestare. La pena capitale per altri dieci giovani fu commutata in detenzione ma le industrie rimasero bloccate anche il martedì: anche molte botteghe restarono chiuse.

Nulla fu più come prima.