REDAZIONE FORLÌ

Bita, fumettista iraniano: “L’Italia mi offre la libertà, ma conosco l’inferno che vive Cecilia Sala”

A Modigliana l’attivista 40enne, rifugiatosi a Bologna dal 2014, presenterà una graphic novel autobiografica che racconta paure, divieti e speranze. “Sono cresciuto tra film e libri proibiti, c’è bisogno di voci come quella di Sala”

Majid Bita con ‘Nato in Iran’: l’autobiografia del 40enne fumettista che racconta parte della sua vita; a destra, il post diffuso sui social: il disegno di Bita ritrae la 29enne Cecilia Sala

Majid Bita con ‘Nato in Iran’: l’autobiografia del 40enne fumettista che racconta parte della sua vita; a destra, il post diffuso sui social: il disegno di Bita ritrae la 29enne Cecilia Sala

Forlì, 4 gennaio 2025 – Domani alle 12 allo ‘Zoc ed Nadel’, in piazza Matteotti a Modigliana, la libreria ‘Bauci Città’ organizza, in collaborazione con l’azienda agricola biologica Podere Panigheto e il moderatore Andrea Bruno, la presentazione con firmacopie della prima graphic novel di Majid Bita, intitolata ‘Nato in Iran’, pubblicata nel 2023 da Canicola Edizioni. ’Nato in Iran’ è l’autobiografia di un 40enne talentuoso fumettista che racconta parte della sua vita trascorsa tra divieti, speranze, delusioni e paure. Bita è in Italia dal 2014 per studiare pittura e linguaggi del fumetto all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove vive e lavora. Dal 2015 partecipa ad esposizioni collettive a Teheran, Isfahan, Istanbul e inizia a scrivere per ‘Honar e Zaman’ (arte del tempo) una rivista d’arte di cui fa parte della redazione, esperienze interrotte nel 2018 per il peggioramento della situazione politico-sociale nel suo paese e della censura. Attualmente si occupa di illustrazione editoriale, storyboard, videoclip musicali e di film d’animazione. L’autore, che è un attivista legato alla comunità iraniana in esilio, soprattutto quella della Francia e degli Stati Uniti, paesi che tradizionalmente ospitavano artisti attivi nel campo delle arti visive e la letteratura persiana già dagli anni 50, usa il disegno come atto politico che però lo costringe ad un esilio forzato.

Bita, come è stata la sua adolescenza durante il regime dittatoriale degli anni ’80?

“Vedevamo speranza in tutto ciò che Khomeyni proibiva: siamo diventati lettori, leggendo libri banditi, e cinefili, attraverso film censurati. La maggior parte delle nostre occupazioni erano illegali. A scuola non raccontavamo mai quello che facevamo a casa. Ma la realtà domestica era uno spazio distante dalla scuola, lì il regime aveva meno possibilità di controllo”.

L’incontro è quanto mai attuale perché è proprio in Iran che la giovane giornalista italiana Cecilia Sala è stata imprigionata 15 giorni fa nel carcere più feroce, per essere usata come merce di scambio con un terrorista iraniano arrestato in Italia su mandato internazionale degli Stati Uniti. Cosa ne pensa?

“Il carcere di Evin per noi iraniani rappresenta un vero e proprio inferno da quando apriamo gli occhi sulla realtà sociale e politica del nostro Paese. E ho sentito il bisogno di esprimere il mio supporto attraverso un disegno per lei sui miei canali social, scrivendo un pensiero sul vecchio e classico metodo del regime di tenere in ostaggio tutte le persone che possono dar voce alla realtà che si vive in Iran. Spero sinceramente che non tratteranno Cecilia come trattano i prigionieri iraniani in quel carcere, ma anche solo entrare in quel posto è già una forma di tortura”.

Perché Sala è finita proprio in quel carcere?

“Mi infuria sentire ciò che Cecilia ha raccontato riguardo alla sua esperienza e devo dire non mi aspettavo succedesse a una giornalista europea, ma questo fa capire che il regime vuole farsi vedere serio e deciso e, per farlo, non conosce limiti. Sono preoccupato per lei e spero che torni libera presto, ma allo stesso tempo penso ad altri prigionieri che non hanno la minima speranza di uscire da quell’inferno”.

Conosceva Sala?

“Da quando scriveva sulle rivolte in Iran nel 2022, incluse le manifestazioni di Donna, Vita, Libertà, e mi sento in dovere di parlarne. Quando i miei connazionali avevano bisogno, lei non li ha lasciati soli. Cecilia è una giornalista che non ha voltato lo sguardo altrove, mentre tanti altri lo facevano o lo fanno tuttora. Ora che vivo la libertà che il suo Paese, l’Italia, mi offre, sento che è importante parlare di lei, che ha anche lavorato per il mio Paese, l’Iran”.

Cosa le augura?

“Spero venga presto liberata e possa tornare a fare il suo lavoro con una visione ancora più originale, acquisita attraverso l’esperienza della brutalità del regime. Spero che la sua testimonianza aiuti a cambiare le idee di molte persone che non sanno cosa significhi vivere, lavorare, respirare e creare sotto un regime totalitario e religioso che, dopo 45 anni, è diventato un mostro. Per farlo cadere, abbiamo bisogno di molte più voci, come quella di Cecilia Sala. Un pensiero a Cecilia e non vedo l’ora di sentire la notizia della sua liberazione”.