Forlì, 10 gennaio 2021 - I ristoranti , così come i bar, fanno i conti da mesi con chiusure repentine, riaperture a sorpresa e coprifuoco serali. Il rientro dell’Emilia-Romagna in zona arancione, dopo una brevissima riapertura, torna a imporre la chiusura ai ristoranti anche all’ora di pranzo, lasciando loro solo la possibilità di preparare pasti da asporto o con consegna a domicilio. Una situazione che senz’altro sta mettendo alla prova i ristoratori.
Ad aiutarli ci sono i cosiddetti ristori, ovvero fondi stanziati dal governo a partire dal lockdown della primavera scorsa. Ma fino a che punto, in effetti, questi fondi sono significativi? Fino a che punto incidono nel bilancio complessivo dell’attività? A spiegarlo, conti alla mano, è Fabiola Nardi, titolare della storica ‘Pizzeria del Corso’ di corso della Repubblica.
Fabiola Nardi, trova che gli aiuti erogati dallo Stato siano adeguati? "Assolutamente no. Ho parlato con tanti colleghi e siamo d’accordo: sono un’elemosina. La morfina che si somministra a un malato terminale". Come vengono calcolati? "Sulla base delle perdite registrate da marzo a giugno. Ne hanno diritto quelle attività che hanno perso oltre il 33% del fatturato. Anche solo questo ultimo punto è ingiusto: chi, per bravura o fantasia imprenditoriale, è riuscito a perdere meno del 33% ha comunque subito un grosso calo che, in qualche modo, andrebbe risarcito". Il suo ristorante quanto ha perso? "Circa il 50% rispetto al 2019 e avrei perso ancora di più se non fosse stato per i mesi da luglio a settembre, quando abbiamo lavorato quasi normalmente". A quanto ammontano i ristori che avete ricevuto? "Un versamento che equivale a 1.000 euro mensili". Insufficienti per fare fronte alle spese? "Insufficienti in maniera drammatica, basti pensare che solo di luce spendo circa 2.000 euro al mese. Con i soldi che ho ricevuto non avrei potuto pagare tre mesi di affitto, figuriamoci i dipendenti, i fornitori, le tasse...". Tra gli aiuti non c’era anche la sospensione di alcuni pagamenti? "Prima o poi sono comunque da pagare. In settembre ci siamo trovati con una marea di contributi da pagare che abbiamo rateizzato. Per i prossimi dieci mesi dovrò sborsare anche quella cifra, oltre alle spese ordinarie. Non mi risulta una moratoria". Quanti dipendenti dovete stipendiare? "Dodici più due extra". Nessuno è in cassa integrazione? "Dopo il primo lockdown, quando abbiamo riaperto, nessuno è più stato in cassa integrazione. In novembre e in dicembre li ho messi in ferie, ma ho scelto di non optare per la cassa integrazione perché la speranza era quella di poter lavorare a Natale, invece poi è andata come è andata". Con l’asporto il guadagno è insufficiente? "Se abbiamo optato per fornire servizio da asporto e domicilio è per due ragioni: perché le persone non si dimentichino di noi e per garantire loro una presenza. Il nostro lavoro è sempre e comunque prima di tutto una passione e sappiamo quanto può essere d’aiuto anche un buon piatto in periodi così duri. Il guadagno, però, non c’è. Certi giorni si lavora per incassare in tutto 100 o 200 euro". Che tipo di aiuto sarebbe davvero adeguato? "Il versamento di somme più consistenti e più puntuali, proprio come tante volte ci è stato promesso. In Germania so di colleghi che da un giorno all’altro si sono visti accreditare il 70% dei mancati incassi. In questo modo puoi pensare di sopravvivere a questo momento, altrimenti in tanti finiranno per chiudere e in marzo, quando finiranno le casse integrazioni, la bolla esploderà e ci accorgeremo davvero la drammaticità della situazione. Una situazione che non riguarda solo bar e ristoranti, ma anche i cinema, i teatri, le palestre… siamo tutti sulla stessa barca". Una nave che affonda? "Può ancora salvarsi, ma si deve agire subito". In che modo? "Con aiuti più adeguati, certo, ma soprattutto pensando alle riaperture, naturalmente in piena sicurezza. Certo, i ristori sono importanti, ma noi ristoratori non miriamo a vivere di sussidi: vorremo solo poter tornare a contare al più presto sul nostro lavoro, come abbiamo sempre fatto".