
Le Case del Popolo e i circoli Acli rappresentano un pezzo importante dell’identità della Romagna. Costruite nel corso di decenni grazie all’impegno, alla dedizione e al sacrificio di migliaia di uomini e donne, sono state e continuano a essere importanti centri di aggregazione, di ricreazione, di fruizione culturale, sia nelle città e ancor di più nelle frazioni periferiche. Il carattere comunitario e associativo delle oltre 200 Case del popolo associate a Legacoop Romagna (che ha già lanciato l’allarme) e gli oltre 30 circoli Acli della provincia di Forlì-Cesena ha reso particolarmente duro per tutte queste realtà l’impatto della pandemia da Covid-19 e delle misure sanitarie adottate per contenerne la diffusione. Dopo essere state costrette a chiudere per quasi tre mesi fra marzo e maggio, con gravi conseguenze da un punto di vista economico oltrechè in termini di impoverimento sociale e culturale delle varie comunità, hanno reagito con forza e riaperto nei mesi estivi nel pieno rispetto dei protocolli sanitari. Poi dal 15 novembre a causa della crescita esponenziale della diffusione del virus, ecco la seconda mazzata: la chiusura.
Lo stato d’animo all’interno delle varie strutture non è però di coloro che vogliono arrendersi, anzi: "La gente è disorientata. C’è chi accetta la situazione e chi non la manda giù – dice Giorgio Barlotti 72 anni ex insegnante di matematica e fisica in pensione e storico presidente della Casa del Lavoratore di via Cerchia 98 –. È indubbio che saremo chiamati nuovamente a fare sacrifici. Però voglio lanciare questo messaggio: noi ci siamo, soffriamo come tutti ma non molliamo per dare una mano a tutti e riacquistare consapevolezza del nostro ruolo".
Gli fa eco Cristian Pancisi, 46 anni, da quattro anni e mezzo presidente del circolo Acli di San Martino in Strada che conta 160 associati: "Penso che la scelta di penalizzare le attività associative e quindi i circoli rispetto a quelle commerciali e quindi i bar sia molto dannosa e sia stato commesso un grave errore. Anche perché dispiacerebbe e sarebbe una grave mancanza se tutte queste attività dovessero morire o ridurre drasticamente le loro attività". Il circolo Acli di San Martino in Strada non si era dato per vinto. "Noi, che abbiamo il bar ovviamente chiuso, nei mesi di riapertura da luglio fino a quando siamo stati costretti a chiudere nuovamente, nonostante le difficoltà, abbiamo organizzato una tombola, un concerto con gli Angry Gentleman e ci siamo dati da fare. Poi abbiamo organizzato una raccolta fondi con i prodotti equi e solidali che vendiamo come cosmetici, cioccolata e pasta".
Si lotta, si continua a cercare di fare il possibile, anche se la situazione non è facile: "Noi in base ai codici Ateco – spiega Barlotti – per la chiusura di marzo, aprile e maggio abbiamo ricevuto un rimborso di 2000 euro, mentre dopo le chiusure di oggi ce ne dovrebbero arrivare 4000. Contributi sicuramente apprezzabili ma che non coprono il nostro fabbisogno. Ora intravediamo un po’ di luce in fondo al tunnel, speriamo di riaprire nel giro di qualche settimana e che i sacrifici fatti ora ci tornino utili un po’ più avanti". Pancisi invece cerca di muoversi in altro modo: "Credo che un buon presidente non debba aspettare un aiuto da parte dello Stato ma, ovviamente sempre nel rispetto delle regole, debba inventarsi qualcosa di nuovo. Speriamo di poter ricominciare presto la nostra attività per beneficiare almeno di una parte del mese di dicembre. Anche perché temo che una sorta di pigrizia sociale delle persone, causata e indotta anche dalla paura, possa ridurre tutte le attività di volontariato". Un pericolo molto più grave rispetto a quelli, comunque presenti e che incidono sulle attività di questi circoli e questi importanti ritrovi.
Stefano Benzoni