REDAZIONE FORLÌ

"Così Zlata è morta per le botte del marito" I pm inchiodano Zahariuk (latitante in Ucraina)

La procura chiede il processo per un 37enne che abitava a Forlì con la famiglia: riuscì a scappare dall’Italia poco prima d’essere arrestato

Lo scuote angoscioso il rintocco d’un indelebile rammarico ingrigito dal rimorso mentre abbandona, forse per sempre, suo figlio, di 9 anni. Lo stesso rintocco che, forse, non l’ha nemmeno pizzicato quando la mattina del 7 luglio 2019, in via Monari, Zahariuk si sveglia con la moglie morta al suo fianco, sul letto.

Oleksandr Zahariuk, 37 anni, ucraino, residente a Forlì fino alla mattina del 22 luglio 2019, è svanito nel nulla. Latitante. Ricercato con un mandato di cattura internazionale per maltrattamenti portati fino alla morte. La morte è quella della moglie Zlata, 33 anni, badante. Rinvenuta senza vita quella mattina di oltre 20 mesi fa. Uccisa (per l’accusa) dalla prevaricante violenza silente che pervade spesso la docili mura domestiche.

Ferite ed ecchimosi. Sul collo. Sulla testa. Quando gli infermieri del 118 approdano a tutta velocità in via Monari trovano la donna distesa sul giaciglio. Giaciglio di morte. Ad innescare l’allerta sono stati Zahariuk stesso, sua madre e il compagno di lei (Valerio Mengozzi: il nome è da segnare; pure lui è finito nell’imbuto della giustizia), entrambi conviventi della famiglia di Zahariuk. Zlata è colma di torvi medaglioni di sangue agglutinato sotto la cute. "Ipotetici residui di percosse" sostiene il personale sanitario dopo un generico esame esterno dell’immoto corpo. Il 118 allarma i carabinieri. Che a loro volta giungono in via Monari col sostituto procuratore della Repubblica Federica Messina.

Dopo mesi di indagini, riscontri, confronti, analisi, controanalisi, ecco la svolta, clamorosa; dramma che s’annida nel grembo della tragedia: la procura della Repubblica ha firmato nei giorni scorsi la richiesta di rinvio a giudizio contro Zahariuk. Il 14 maggio prossimo scatterà l’udienza preliminare, al termine della quale il giudice Giorgio Di Giorgio deciderà se rinviare in dibattimento, o meno, Zahariuk. Che sarà, eventualmente, processato in contumacia. Stando agli inquirenti, Zahariuk si trova nel suo Paese d’origine, l’Ucraina. Dove, per vacuità di accordi internazionali specifici, non è possibile arrestarlo per questa tipologia di reato (per dire: se invece era ricercato per droga, poteva finire in manette).

Zahariuk scappò la mattina del 22 luglio 2019, dopo aver salutato il figlio ancora assonnato; svanì 17 giorni dopo il ritrovamento del corpo di Zlata; ossia, qualche ora prima che gli investigatori arrivassero con l’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmato dal giudice per le indagini preliminari. In tutta fretta, sulla cuna della calda bruma dell’alba, questo marcantonio slavo (alto quasi due metri, fasciato di muscoli e nervi tesi), che a Forlì lavorava come bracciante agricolo, raggiunse prima Altedo, Ferrara, e da lì si proiettò, non si sa come (forse nascosto in un camion), in Ucraina. In base alle risultanze dei detective (indagini eseguite dai carabinieri del reparto operativo-nucleo investigativo provinciale) ad aiutare Zahariuk nella sua rocambolesca fuga sarebbe stato Valerio Mengozzi, 65 anni, compagno della madre di Zahariuk. Mengozzi è accusato a piede libero di favoreggiamento e false dichiarazioni al pm; sentito dagli inquirenti due giorni dopo la fuga di Zahariuk, Mangozzi disse: "Non so dove sia... io non c’entro nulla...".

Il quadro inquisitorio è articolatissimo. Il dossier che inchioderebbe Zahariuk è sostanziato da centinaia di pagine. Partiamo con una domanda: perché Zahariuk non è stato arrestato subito? Impossibile, proceduralmente. Il bracciante agricolo dalla fisicità ciclopica viene sentito dagli inquirenti con la moglie ancora sul letto: "Non so cosa sia successo...". Non traspare una minima volontà non solo omicidiaria, ma neppure violenta. L’autopsia viene subito predisposta. Il medico legale non ha dubbi: alcune lesioni al capo della donna ("un pugno, forse") hanno prodotto un "ematoma subdurale emisferico" che hanno determinato "il decesso entro 72 ore dall’evento traumatico". Le indagini esplodono. Il contesto di maltrattamenti in famiglia emerge prepotente. I militari, coordinati dal pm Messina, con la supervisione del capo della procura, Maria Teresa Cameli, raccolgono vaste e svariate fonti indiziarie: testimonianze di amici e parenti, file audio di whatsapp della vittima e del marito, verbali d’interrogatorio. Parenti e amici sono concordi: "La povera Zlata veniva picchiata da anni..." (l’accusa parla di maltrattamenti addirittura fin dal 2008). Eppure, in tutto questo tempo, nessuna querela. Solo la segnalazione di un vicino (caduta nel vuoto) ai servizi sociali.

Le carte del pm sostengono che l’uomo abbia più volte urlato: "Vado in galera ma se torno uccido te, tua mamma e tutta la tua famiglia..."; e poi offese; percosse. "Ha svilito la donna in tutti i modi, la trattava con rabbia e indifferenza..." rimarca il pm. Anche quando Zlata – minuta, gracile – s’è dovuta operare per un tumore. "Il marito beveva, spesso lo si vedeva ubriaco... e putroppo anche Zlata si dava all’alcol, per stordirsi..." è la voce dei testimoni. "Eppure nessuno ha mai fatto denuncia. E neppure lei, la povera Zlata, l’ha mai fatta – rimarca il pm Federica Messina –, per paura, sì, ma soprattutto perché arresa ad un contesto sociale e culturale che l’ha resa inerme...". (Ora il figlio vive con la madre di Zahariuk e del suo compagno, indagato: così ha disposto il tribunale dei minori, per "la tutela del ragazzo", non allontanandolo dal suo "luogo di primari affetti").

Maurizio Burnacci