
Un’intuizione divenuta intervento che consente di raggiungere in velocità e in maniera poco invasiva per il paziente le vertebre che stanno ‘sotto la testa’, quelle più difficili da raggiungere perché relative al primo disco per intenderci, e di trattare in maggior sicurezza ernie, fratture dell’epistrofeo, patologie tumorali. Un approccio pubblicato sulla rivista European Spine Journal, che conferma il livello di eccellenza della Neurochirurgia del Sant’Anna. Ad inventarlo ed effettuarlo finora su sette pazienti è stato di Pasquale De Bonis, neurochirurgo e direttore della Scuola di Specializzazione in Neurochirurgia Unife, che proprio per questa ‘scoperta’ è stato inserito tra i docenti dell’unico master di secondo livello in Italia (capofila, l’Università Cattolica di Roma) per la chirurgia della giunzione cranio-cervicale.
De Bonis, come è nata l’idea e in cosa consiste?
"Dovevo trattare un paziente al primo disco, ossia quello relativo a C2-C3. Troppo in alto per la via tradizionale (sorpassando di lato trachea ed esofago, ndr), si trova infatti all’altezza della lingua. Mi sono confrontato con mio padre Antonio, chirurgo generale, sull’approccio retrofaringeo usato da chirurghi e otorini per svuotare linfonodi del collo. Ho studiato approfonditamente l’approccio per poterlo traslare sulla colonna. E per questo ringrazio i colleghi otorini del Sant’Anna, che mi hanno consentito di assistere ad alcune operazioni, la cui durata media è un’ora, perché richiede almeno 15 passaggi per isolare e separare vene, arterie, nervi. Dovendo io raggiungere il centro del collo, sono riuscito a rimodulare l’intervento portandolo a 4 step. In sintesi, incidendo al di sotto della porzione laterale della mandibola, in 7 minuti, con il microscopio intraoperatorio, si arriva tra la prima e la quarta vertebra cervicale"
Per quali patologie serve?
"Dalle ernie ai tumori. Con il laboratorio di Anatomia del Basicranio dell’Università di Stanford stiamo comunque ora eseguendo studi comparativi per vedere altre potenzialità".
Per il paziente, in termini migliorativi, cosa cambia?
"Diminuisce moltissimo il rischio chirurgico. Sia per il minor tempo necessario in anestesia, sia perché si maneggiano meno strutture vascolari e nervose".
Un anno di Covid tra smart working e ore davanti al pc. Quali le conseguenze del forzato ‘fermo’?
"Molte. I pazienti con dolori alla colonna stanno peggio, quelli che stavano effettuando riabilitazione sono regrediti nel recupero. L’effetto è ben visibile su adulti ed anziani. L’inattività è però dannosa a medio termine anche per i ragazzi. Per cui il consiglio, anche per gli adolescenti, è mantenersi comunque attivi, anche in casa, facendo attività fisica e limitando il più possibile le posture dannose, in primis il capo flesso in avanti per tanto tempo".
Camilla Ghedini