NICOLETTA TEMPERA
Cronaca

Uccisa e bruciata, l’ex compagno in cella a vita "Ora Atika ha finalmente ottenuto giustizia"

La corte d’Assise ha condannato all’ergastolo M’Hamed Chamekh. Disposti anche quattro mesi di isolamento diurno. La difesa: "Valutiamo l’appello"

di Nicoletta Tempera

Ergastolo e quattro mesi di isolamento diurno. Per aver ucciso l’ex compagna e poi averne bruciato il corpo. "Atika ora ha ottenuto giustizia", sono le prime parole, commosse, del sindaco di Castello d’Argile, Alessandro Erriquez. Proprio in un vecchio casolare lungo la provinciale che taglia quel paese della Bassa bolognese, a settembre del 2019 Atika Gharib, mamma marocchina di 32 anni residente a Ferrara (nella foto a destra) fu uccisa in una maniera attroce. Strangolata e poi data alle fiamme, con uno straccio intriso di liquido infiammabile infilato in gola da M’hamed Chamekh, 42 anni, suo connazionale con cui aveva avuto una relazione, troncata dalla donna. Il suo corpo era stato trovato due giorni dopo l’omicidio, completamente carbonizzato, da vigili del fuoco e carabinieri tra le macerie del casolare. E quell’uomo, che aveva tentato, dopo la mattanza, di fuggire in Francia, era stato arrestato su un treno diretto oltre confine.

Tre anni e mezzo dopo quei terribili fatti, una prima verità giudiziaria è stata scritta. Ieri, al termine del processo celebrato in Corte d’Assise a Bologna, Chamekh è stato condannato alla massima pena. La Procura, con la procuratrice aggiunta Lucia Russo e il pm Tommaso Pierini, aveva chiesto l’ergastolo con isolamento diurno di tre mesi. La Corte, presieduta dal giudice Domenico Pasquariello, è andata anche oltre, aumentando di un mese l’isolamento per il marocchino, già detenuto alla Dozza e difeso dall’avvocato Carlo Machirelli. E ha stabilito inoltre una serie di risarcimenti per le parti civili: 150mila euro di provvisionale per ciascuna delle due figlie della donna, 20mila euro per i fratelli e le sorelle, e 100mila euro per i genitori. Risarcimento di 20mila euro anche per l’Udi, Unione donne italiane. Le figlie di Atika, sua sorella e gli altri famigliari, si erano costituiti parte civile, rappresentati dall’avvocato Marina Prosperi. Fuori dal tribunale, mentre erano in corso arringa e requisitoria, una decina di donne dei Si Cobas e del comitato 23 settembre attendevano in presidio la sentenza. "Donne contro oppressione, razzismo e sfruttamento", recitava uno degli striscioni esposti dalle amiche di Atika, che hanno atteso parlando al megafono di femminicidi, violenza di genere, differenze contrattuali ancora in essere tra uomini e donne. E quando finalmente, alle 16, è stata emessa la sentenza, che non lascia spazio a dubbi, si sono sciolte in un abbraccio commosso. "Non posso nascondere la soddisfazione e la commozione per questa sentenza – sono le parole del primo cittadino Erriquez –. Nessuno potrà restituire Atika alle persone che le volevano bene. Oggi, però, chi l’ha rapita, per sempre, all’affetto della sua famiglia, paga il giusto prezzo. Impossibile dimenticare quelle dolorose giornate del settembre 2019 ma altrettanto impossibile sarà interrompere il legame di amicizia con la famiglia di Atika. Vi abbraccio forte. Castello d’Argile sarà sempre casa vostra", ha aggiunto il sindaco. Che per primo si interessò della scomparsa della trentaduenne, quando ancora nulla si sapeva del suo terribile destino. Era stata la sorella di Atika a rivolgersi al primo cittadino, che osservava le operazioni di spegnimento dell’incendio nel casolare, chiedendogli aiuto perché da due giorni non riusciva a mettersi in contatto con la sorella, già uccisa da Chamekh.

All’imputato erano contestati i reati di omicidio con le aggravanti dei futili motivi, della premeditazione e dell’aver commesso il fatto ai danni di una persona "a lui legata da pregressa relazione affettiva", distruzione di cadavere, incendio aggravato, lesioni aggravate e minacce aggravate. Le motivazioni della sentenza sono attese tra 45 giorni. "Aspetteremo di leggere le motivazioni per valutare l’appello", ha spiegato l’avvocato Machirelli. Che, nella sua arringa, aveva puntato l’attenzione "sulla valutazione della schizofrenia paranoide del mio assistito, che ha un peso nella decisione della pena, e poi sull’assenza di prove riguardo le aggravanti dei futili motivi e della premeditazione".