Papà Domizio e la sorella Donata non si sono mai arresi a una verità artificiosa e impacchettata, a tratti maldestramente, per mettere cumuli di pietre sopra a una tragedia assurda. "Quando chiedemmo di andare sul luogo – ha raccontato Donata, qualche anno fa – fummo portati in un punto non precisato, che solo dopo qualche ora scoprimmo non essere quello dove era stato trovato il corpo di Denis. Non fu disposta l’autopsia subito, non ci fecero vedere il corpo quella sera e non abbiamo mai ricevuto indietro i suoi vestiti. Solo l’orologio, che funzionava, strano dopo essere stato trascinato da un camion e le scarpe, pulitissime nonostante fosse una sera piovosa".
Da qui inizia la battaglia per sapere la verità, per dare nome e cognome a chi ha ucciso Denis, quel pomeriggio di novembre, e perché. Per capire chi c’era insieme a Isabella, nella piazzola dall’altra parte della strada, quando il camionista che seguiva l’automezzo arancione, Forte, ha da sempre raccontato che vide "insieme a una ragazza disperata due uomini e un’auto, probabilmente una Mercedes scura, che poi ripartì in fretta alla volta di Cosenza". Uomini mai identificati. Questa versione è stata ribadita di recente davanti alla Corte di Assise, mentre il racconto di Raffaele Pisano, il conducente alla guida dell’automezzo che investì il calciatore ne ha fornite quattro diverse, l’ultima nel processo in corso.