NICOLA BIANCHI
Cronaca

Alba maledetta del 25 settembre di 19 anni fa

Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi durante il processo

Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi

Federico Aldrovandi, studente diciottenne dell’Itis, muore in via Ippodromo il 25 settembre 2005. I poliziotti, poco dopo le 5.30 del mattino, lo avevano trovato "in stato di agitazione", diranno in aula e scriveranno nei loro brogliacci, al termine di una nottata trascorsa in un locale a Bologna con gli amici.

Lo scontro tra i componenti prima di Alfa 3 e poi con l’aiuto dei colleghi di Alfa 2 è violentissimo: colluttazioni, manganelli rotti, calci, compressioni, ammanettamento violento per l’accusa; agitazione psico-motoria, droga e sindrome da eccitazione delirante, lui che aggredisce i poliziotti per la difesa.

La situazione sfugge di mano, il cuore del diciottenne smette di battere. L’inchiesta viene affidata alla polizia, chiamata ad indagare su se stessa, il pm di turno è Mariaemanuela Guerra che lascia alcuni mesi dopo per "motivi familiari", prima di farlo iscrive sul registro degli indagati i poliziotti per omicidio preterintenzionale.

L’inchiesta viene affidata al pm Nicola Proto, l’accusa diventa di eccesso colposo in omicidio colposo. Il 20 giugno 2007 tutti vengono rinviati a giudizio, la prima udienza fissata il 19 ottobre. Da quel giorno, e per i successivi due anni, davanti al giudice Francesco Caruso sfilano gli amici di Aldro, i genitori, mezza questura, medici legali, tossicologi, docenti. Ogni udienza è una battaglia tra avvocati, la ferita torna a sanguinare copiosamente. La città si divide, il caso di Federico si diffonde in tutta Italia.

Due anni dopo la morte, famiglia e amici organizzano una manifestazione per chiedere verità e giustizia, vi prenderanno parte migliaia di persone. Il 6 luglio 2009 la sentenza di condanna per Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri: 3 anni e 6 mesi, pena confermata in secondo e terzo grado di giudizio.

La condotta dei poliziotti, "fu sproporzionatamente violenta e repressiva", mentre "lo stato di agitazione in cui versava il ragazzo avrebbe imposto un intervento di tipo dialogico e contenitivo". Lo scriveranno i giudici della quarta sezione penale della Cassazione (sentenza del 21 giugno 2012) in 43 pagine.

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