Ferrara, 1 dicembre 2019 - «Maiàl, quanti siete!». Lorenzo Donnoli, sul cassone del camion utilizzato come palco, guarda il banco di Sardine che gremisce piazza Castello. Seimila di nome e di fatto, forse: il calcolo è a spanne ma i raffronti con la festa di San Silvestro e il concerto di Biagio Antonacci non lasciano spazio a dubbi. I numeri sono importanti, perché «i numeri vincono sulle bugie – prosegue Lorenzo, il ferrarese che fa parte del coordinamento nazionale – e parlano di una marea di persone che chiede una politica di serietà, di concretezza, di responsabilità».
Giovani e meno giovani «storditi da anni di propaganda ingiusta, e rimasti immobili»: l’autocritica collettiva, e al tempo stesso la voglia di riscossa, parte sulle note di ‘Bella Ciao’. Sono Raffaele Bruschi e Jawad Asmahi, chitarra e microfono in mano, ad aprire il coro quando le 20 sono passate da poco. E sotto i vòlti del Savonarola già si fatica a passare. La playlist della serata è eterogenea: si va da ‘Dio è morto’ di Guccini ai Subsonica, da ‘Io non mi sento italiano’ di Giorgio Gaber sino ai canti delle mondine di Porporana, che chiudono richiamando valori essenziali: «Vogliam la pace sulla terra, più forti dei cannoni noi sarem». E’ un ponte ideale lanciato, da piazza Castello, anche a chi «manifesta a Hong Kong e in Iran», riprende Donnoli. Ma conta Ferrara, che si stringe per un’iniziativa («politica ma apartitica», dice Ciro Zabini), che ha avuto comunque il pregio di richiamare una folla superiore a quella di tanti leader: «E se mi chiamassi Salvini, Meloni, Berlusconi o anche Renzi, di fronte a tutta questa gente proverei solo vergogna», incalza Lorenzo.
Nel cui discorso, non mancano gli strali a un’amministrazione ritenuta «mandante politico dell’aggressione a Jakub, il ragazzo straniero picchiato per essere stato scambiato per uno spacciatore». Ma c’è anche una stoccata al centrosinistra, «che con mediocrità non ha difeso i risparmi di una vita di 28mila ferraresi». Cerchiobottismo 3.0? Solo il tempo, e magari le regionali del 26 gennaio, scioglieranno il rebus. Anche se dal ‘flash mob’ delle sardine non c’è stato alcuno spot elettorale: sul palco si sono susseguiti gli interventi di alcuni giovani, e anche chi fra loro ha avuto qualche ruolo nelle ultime amministrative, prima di salire sul camion-palco ha dovuto, in qualche modo, abiurare quella loro candidatura. Si riparte da zero. Anzi, da seimila. L’attualità locale è appena accennata.
Nessun riferimento ad Alan Fabbri, nessun attacco diretto, ma il nulla sarebbe impossibile: «Cosa ha significato togliere le panchine per ridurre lo spaccio? – chiede Arianna – Perchè i nostri politici, che si riempiono la bocca con la mafia nigeriana, non si impegnano sul serio per debellare la mafia italiana, vera matrice della criminalità?». Gli interrogativi dei giovani, si alternano a stringate certezze: «Le Sardine non abboccano più!», arringa Ciro, che freme guardando, sul display del telefonino, le foto che arrivano da chi è riuscito a salire in Castello. La piazza, invece, freme quando il microfono passa a Ilaria Cucchi, che assieme a Fabio Anselmo si fa testimonial: «La vostra battaglia è anche la nostra, contro l’odio e l’intolleranza», le parole che innescano il coro ‘Siamo tutti Stefano Cucchi’. Quello più classico ‘Vergogna! Vergogna!’ sale quando Adam Atik ricorda che, in mattinata, «il Comune ha concesso proprio oggi a Forza Nuova di sfilare in città». I ‘buuu’ per Salvini si contano sulle dita di una mano, per il vicesindaco Lodi neppure lo straccio di una citazione esplicita.
«Siamo la voce delle idee e del rispetto reciproco – afferma Martina Gagliardo, studentessa originaria di Agrigento, cui tocca rompere il ghiaccio –. La nostra sarà un’onda lunga, e l’amministrazione si troverà a fare i conti con quello che siamo e che rappresentiamo». Una piazza piena, anzi gremita, che si svuota dopo l’ultima canzone delle mondine, ma che i partecipanti vogliono lasciare intonsa. Molti volontari si fermano e, sacchi alla mano, raccolgono cartacce, brandelli di disegni, mozziconi di sigarette. «Siamo una piazza piena d’amore», assicura Lorenzo Donnoli, che certifica la propria ferraresità ricordando anche il bisnonno Orlando Arlotti, sfuggito all’eccidio del Caffè del Doro. Poi i saluti. C’è chi come l’ex bibliotecario ripone il manifesto in cui ha dato sfoggio di attitudine poetica («La sardina, la mattina, cupa, muta, al buio nuota. Ma di sera col cartello si fa beffe del beota nella piazza del Castello). O i sindacalisti che, foto alla mano, discutono se «c’era più gente per Berlinguer o Cofferati». Per tutti, una promessa: «Adesso siamo Sardine, non faremo più i pesci in barile».