
Un momento della rivolta in carcere nel periodo della pandemia
Diciannove rinvii a giudizio, undici proscioglimenti totali e un’assoluzione in rito abbreviato, oltre alla caduta per tutti dell’ipotesi di incendio. L’udienza preliminare, conclusa ieri mattina davanti al gup Andrea Migliorelli, riduce sensibilmente il numero degli imputati che dovranno rispondere a processo del caos scoppiato tra le mura del carcere durante la pandemia. Le ipotesi di reato per le quali saranno giudicati (a vario titolo) sono principalmente danneggiamento, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. Non ha retto, come anticipato, l’accusa di incendio, dal momento che le condotte contestate non sarebbero tali da configurare il reato. Per i diciannove rimasti, il processo in dibattimento inizierà il 3 giugno davanti al giudice Marco Peraro.
La sommossa. I fatti al centro del procedimento risalgono alle giornate dell’8 e 9 marzo del 2020. Siamo in pieno lockdown e, in quei giorni, le rivolte si susseguivano nelle case circondariali di tutta Italia. E Ferrara non ha fatto eccezione. Al grido di "Assassini, il virus ci sta uccidendo, carcere di m.", all’Arginone furono messe a ferro e fuoco alcune sezioni: si registrarono momenti ad altissima tensione, pesanti danneggiamenti a infissi, arredi e oggetti vari oltre ad aggressioni verbali e fisiche agli agenti della polizia penitenziaria che cercavano di sedare la rabbia scoppiata a seguito della rapida diffusione del Covid e delle conseguenti pesanti restrizioni. Per sedare la sommossa fu necessario un massiccio spiegamento di forze dell’ordine. L’indagine su quei fatti iniziò con 37 detenuti indagati. Nel corso del tempo, però, il numero si è assottigliato. Sei di essi furono stralciati perché nel frattempo usciti di galera e divenuti irreperibili o perché espulsi dal territorio italiano. Davanti al giudice erano quindi rimaste trentuno persone, la stragrande maggioranza delle quali aveva optato per la discussione dell’udienza preliminare. Solo uno aveva chiesto di essere processato in rito abbreviato. Tra loro c’erano anche alcuni nomi noti alle cronache, tra i quali Egbogun Glory, detto Omomo (difeso dall’avvocato Giampaolo Remondi), già condannato in Appello come membro del clan mafioso nigeriano dei Vikings, ma uscito con una sentenza di non luogo a procedere dai fatti dell’Arginone.
Le accuse. Le contestazioni mosse agli imputati erano diverse. La prima riguardava i disordini che si sono consumati tra le 16.30 e le 21.15 dell’8 marzo 2020. Il pandemonio era scoppiato nella prima e seconda sezione, con vetri rotti, tavoli sfasciati, biliardini e suppellettili mandati in pezzi. Fatti analoghi si erano verificati in maniera ancor più clamorosa il giorno dopo nelle sezioni seconda, terza e sesta, con lenzuola e materassi bruciati, vetri in frantumi, brande, tavoli, lavandini e telecamere fracassati. Tutte le azioni erano scandite da urla, incitamenti alla rivolta, insulti e lanci di pezzi di vetro e altri oggetti. L’ultimo capo di imputazione riguardava infine l’aggressione ai danni di un agente di polizia penitenziaria che cercava di spegnere il fuoco con un estintore. Ora, a cinque anni dai fatti, di quei giorni di caos si discuterà davanti al giudice del dibattimento.