Dalla pasta alle creme, ai mattoni di canapa sono molti i prodotti che rischiano di scomparire per una disposizione contenuta nell’articolo 18 del disegno di legge numero 1236 che vieta "importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa (Cannabis sativa L.), anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, di prodotti contenenti infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli olii da esse derivati. Bocciare l’uso delle infiorescenze anche se non destinate all’uso ricreativo va di fatto ad equiparare la canapa a una sostanza illegale, nonostante l’assenza di effetti psicotropi e stupefacenti grazie ad un livello di thc inferiore allo 0,3%”. L’appello al Governo affinché ritiri l’articolo 18. In Italia i terreni coltivati a canapa sono arrivati a superare i 4000 ettari.
Ferrara, 21 novembre – “Stiamo smobilitando tutto, trenta dipendenti sono rimasti senza lavoro. Ma come facciamo ad andare avanti con questa spada di damocle sulla testa”, Michele Blè con il socio Andrea Senese quattro anni fa ha creato una società per la coltivazione di canapa per la cosmesi, il tessile, ad uso alimentare. Si trova a Tamara, frazione del comune di Copparo. Parte delle piante nelle serre, una parte è coltivata indoor.
“E’ come un laboratorio, un ambiente chiuso e riscaldato, con lampade per farle crescere. Nei giorni scorsi i proprietari di Nanolux, azienda americana che fa lampade per la coltivazione, sono venuti a visitare il nostro impianto”, spiega. Un investimento non da poco che è naufragato contro gli scogli del decreto partorito dal governo. “Diventerà illegale, abbiamo tempo fino al 25 dicembre per smantellare tutto. Se non facciamo così dobbiamo andare dai carabinieri a denunciare che abbiamo una piantagione di canapa. Rischi di finire nei guai, guai seri”, afferma, un misto di rabbia e rassegnazione.
“Sì certo, puoi fare ricorso. Ma il rischio è comunque alto perché non sai come va a finire. Ed in ogni caso come fai ad andare avanti, a produrre in un panorama dominato da un’incertezza così grande. Ci sono stati incontri, le associazioni di categoria si sono mosse perché ci sono in ballo migliaia di posti di lavoro, settori dal tessile alla bioedilizia sui quali cala il coperchio di una bara. Ma per ora questi incontri non sono serviti a nulla”. La loro azienda fa parte di Confagricoltura. L’attività era stata creata a gennaio del 2021. “Ci credi, fai investimenti, sostieni i costi che non sono pochi, si pensi solo all’energia elettrica per alimentare le strutture indoor. E poi ti trovi davanti a questa legge che sentenzia la parola fine per un settore. Vietare la produzione del fiore tout court equivale a stroncare la produzione. E si badi bene noi siamo in regola con tutto, è come vietare la birra analcolica sostenendo che ti ubriaca. Un paradosso, una follia”.
“Oltre alla beffa c’è il danno erariale”. Le parole di Andrea Senese, il suo socio. “Abbiamo ottenuto come finanziamento per l’azienda 380mila euro – spiega l’imprenditore, l’attività fondata sulla tecnologia 4.0 –. L’investimento totale è un milione, il 40% era in credito d’imposta. Sono soldi buttati e come me le altre 3mila aziende che a loro volta hanno ricevuto i crediti”. La data è sempre più vicina. “Già – riprende Blè – è cominciato il conto alla rovescia di un mondo. Noi stiamo da tempo dismettendo la produzione, già da quando ci sono state le prime avvisaglie dell’arrivo di questo decreto. Anche se hai ragione, anche se puoi fare ricorso, in un caos del genere rischi di essere processato per produzione di sostanze stupefacenti”.