FEDERICO MALAVASI
Cronaca

Rapina in casa, condannato il ‘terzo uomo’

Assalto con la pistola a Corporeno, cinque anni all’ultimo complice rimasto a processo. L’alibi presentato in aula non ha retto

Rapina in casa, condannato il ‘terzo uomo’

Rapina in casa, condannato il ‘terzo uomo’

L’alibi tirato fuori in udienza a riprova della sua assenza dall’Italia nel giorno del colpo non ha retto. Anzi. Secondo il tribunale, il 47enne albanese Ilir Musai ha preso parte – insieme ad altri due soggetti – alla rapina in abitazione avvenuta il 13 giugno del 2020 a Corporeno. Il processo a carico del ‘terzo uomo’ – unico rimasto alla sbarra dopo che i due presunti complici hanno definito la propria posizione con riti alternativi – si è concluso a mezzogiorno di ieri, quando il collegio giudicante ha emesso la sentenza. Lo straniero è stato condannato a cinque anni di reclusione, oltre a 2.500 euro di multa e provvisionali da cinquemila euro per ogni parte civile costituita. Il verdetto dei giudici, salvo una lieve differenza dal punto di vista delle pene pecuniarie, è in linea con le richieste formulate nel corso della requisitoria dal sostituto procuratore Sveva Insalata. Non sono dunque bastati a scagionarlo gli elementi illustrati in aula, secondo i quali il giorno della rapina l’imputato si trovava in Albania. A rafforzare quella ricostruzione ci sarebbero due biglietti del traghetto con data di partenza 9 giugno e ritorno il 18. L’imputato avrebbe inoltre cercato di spiegare le ragioni per le quali il suo cellulare agganciasse una cella telefonica compatibile con l’azione criminale. Partito per Durazzo, è la sua versione, avrebbe lasciato il proprio furgone a una donna con cui aveva intrecciato una relazione. All’interno del mezzo c’era anche il suo cellulare in quanto – ha spiegato in aula – quando era in patria non utilizzava il telefono con la scheda italiana. I successivi approfondimenti disposti dal tribunale per provare la genuinità dell’alibi non sembrerebbero però aver portato agli esiti sperati dalla difesa.

I fatti al centro del processo arrivato ieri alla sua prima definizione risalgono a quattro anni fa. Quella notte, tre malviventi con il volto coperto dai passamontagna e armati di pistola e piede di porco minacciarono gli abitanti di una villetta della frazione centese, intimandogli di aprire la porta e farli entrare. Una richiesta alla quale i padroni di casa non ubbidirono, trovando rifugio suol tetto insieme ai figlioletti di otto mesi e cinque anni. Lì, pietrificati dalla paura, trovarono la forza di chiamare i carabinieri. Arrivati sul posto, i militari fecero fuggire i banditi che, nel frattempo, avevano caricato sul furgone del padrone di casa una serie di oggetti trafugati dal garage dell’abitazione. Uno di loro fu catturato quasi subito, gli altri due non molto tempo dopo. Come anticipato, due imputati definirono al propria posizione con riti alternativi. Il 47enne aveva invece scelto il processo in rito ordinario, arrivato ieri al primo punto fermo con la sentenza del collegio.