Ferrara, 3 ottobre 2024 – La promessa era quella di un lavoro onesto, che desse da vivere a lei e alla sua famiglia rimasta nel Paese d’origine. Spinta da quel miraggio di benessere, una giovane uruguayana ha affrontato il viaggio da Montevideo a Ferrara con una valigia piena di speranze e sogni. Quello che però ha trovato nella città estense è stato soltanto il marciapiede. Costretta a prostituirsi – almeno questo è l’impianto accusatorio – da quelle stesse persone che le avevano promesso un avvenire migliore. Avrebbe dunque dovuto vendere il suo corpo fino a quando non sarebbe riuscita a ripagare la somma di quarantamila euro. La vicenda è arrivata all’attenzione degli inquirenti quando la persona offesa, nel frattempo trasferitasi a Bologna, ha sporto querela nei confronti del marito per maltrattamenti. Da quella denuncia è emersa anche la vicenda relativa alla prostituzione. È stata così aperta un’inchiesta che ha visto finire sotto la lente due connazionali della donna, oggi a processo per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione.
Il caso è comparso ieri mattina in tribunale davanti al collegio giudicante e al pubblico ministero Ciro Alberto Savino. L’udienza è stata dedicata all’esame della persona offesa. La donna ha raccontato ai giudici la propria vicenda, partendo da quando, nel 2015, è arrivata in Italia con la promessa di un lavoro. Ha riferito di essere atterrata nell’ottobre di quell’anno all’aeroporto di Malpensa, dove ad attenderla c’era la sua futura aguzzine. “Arrivai in Italia con la promessa di un lavoro” ha raccontato dal banco dei testimoni. A proporle quell’impiego dall’altra parte dell’oceano era stata una delle imputate, “attraverso un’amica comune in Uruguay”.
Da lì, secondo il racconto, sarebbe iniziato l’incubo. “Mi hanno detto che dovevo lavorare per ripagarle del viaggio – ha aggiunto –. Consegnavo 250 euro a sera, ma a Ferrara non guadagnavo abbastanza, quindi mi hanno detto di andare a Bologna”. La donna ha continuato a prostituirsi fino a quando, con l’aiuto di quello che sarebbe poi diventato suo marito, non è riuscita a saldare il debito. “Avevo paura di loro – ha dichiarato –, mi sentivo minacciata. Mi dicevano ‘Fai la brava che là (in Uruguay, ndr) hai la famiglia’”. L’udienza di ieri si è interrotta con la rinuncia al mandato del legale di una delle imputate, scelta che ha spinto il tribunale a non ascoltare il teste di polizia giudiziaria in calendario e a rinviare al 5 febbraio.