Caro Carlino, il lettore Andrea Finotti, criticando un mio intervento si chiede : “Che cosa c’entra El Alamein con i confini”? Evidentemente il lettore non ha letto bene ciò che ho scritto, senza mai pronunciare - tra l’altro - la parola “confini”. Ho citato la battaglia di El Alamein, ma avrei potuto citare la battaglia di San Martino (1859), di Vittorio Veneto (1918) , di Nikolajewka (1943) o tanti altri fatti d’arme solamente per far presente, a chi la pensa come la Littizzetto, che gli Italiani, quando devono compiere il loro dovere, sanno anche combattere e non sono sicuramente inferiori agli altri popoli. Non fanno certo schifo (dico schifo per non ripetere il termine assai volgare usato dalla “signora” Littizzetto). Fra l’altro ad El Alamein venne ferito, quale ufficiale carrista, Vincenzo Cavallari, illustre giurista ed esponente di primo piano del PCI, che per il suo eroico comportamento venne decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare. Anch’egli ha dimostrato che i nostri soldati non hanno difettato nè di valore nè di coraggio. Nel centenario dell’entrata in guerra dell’Italia (primo conflitto mondiale) Sergio Mattarella, ricordando il cammino che ci ha portato ai nostri giorni, così si espresse : “In questo lungo percorso le Forze Armate italiane, al servizio del Paese, hanno operato con abnegazione e valore per assicurare il mantenimento della sovranitá nazionale, dell’integritá territoriale e del diritto internazionale”. Spero che tutti si possano riconoscere (Littizzetto compresa) nelle parole del Capo dello Stato, certamente non ascrivibile alla categoria dei nazionalisti o dei sovranisti. Giorgio Fabbri
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LA SPAL, LE “PALLE INATTIVE“ E IL TRISTE EPILOGO Caro Carlino, ho letto l’articolo di Stefano Manfredini che descrive l’ ennesima sconfitta subita dalla Spal. Ancora una volta le “palle inattive” hanno pesantemente segnato l’ ultimo, amaro disastro. Che dire? Se la Spal continuerà a giocare in questo modo, senza idee e senza anima, le “palle inattive” ( in tutti i sensi) ci porteranno a un ben triste epilogo. Grazie, Mario Gallotta