"I familiari mi avevano chiesto per il figlio alcune consulenze psicologiche ritenendo che fosse affetto da manie di persecuzione". Oppure ancora "nel 2105 il padre mi manifestò la preoccupazione nel vedere che il figlio manifestava manie di persecuzione". Che fossero vicini di casa o colleghi. Sono due passaggi della depoisizione del medico che assisteva Michele Cazzanti, il ferrarese in carcere con l’accusa di tentato omicidio, per aver sparato ferendolo gravemente il collega Roberto Gregnanini (tornato in terapia intensiva), il 3 marzo scorso, in piazzetta Schiatti, con la sua pistola regolarmente detenuta. Ed è questo un passaggio delicato dell’inchiesta coordinata dal pm Isabella Cavallari. Sta infatti emergendo come Cazzanti, dopo la morte del padre che l’aveva ostacolato, fosse ossessionato dall’ottenere il porto d’armi, ma anche che le sue condizioni psicologiche lasciano non poche perplessità sul fatto che fosse nelle condizioni di poterlo conseguire. La procura su richiesta della difesa ieri ha depositato le testimonianze del medico di base e della psichiatra che lo visitò proprio per il certificato necessario al rilascio del porto d’armi. Il medico ha riferito che il paziente soffriva di manie di persecuzione e che aveva assunto psicofarmaci, poi interrotti per gli effetti collaterali. Alla fine, Cazzanti, dopo la visita dell’agosto 2020, riuscì ad avere la licenza. Anche i legali di parte civile, Rossella Bighi e Giorgio Bolognesi, stanno valutando se chiedere accertamenti sull’iter che ha portato al rilascio. Ieri il gip ha conferito la perizia psichiatrica su Cazzanti a Luciano Finotti, l’avvocato Fabio Anselmo per Cazzanti e i colleghi di parte civile hanno nominato i propri consulenti.
Cristina Rufini