
Palazzo Bevilacqua Costabili è stato restituito alla città. Si sono conclusi i lavori di restauro a uno dei gioielli architettonici estensi. Il progetto è stato redatto dall’architetto Martina Bonora che ha anche seguito la direzione dei lavori, dalla restauratrice Federica Bartalini e dall’architetto Maria Marcella Barigozzi. Palazzo Bevilacqua venne edificato attorno al 1458 dal conte Cristin Francesco della famiglia Bevilacqua, antichissima e influente casata nobiliare trasferitasi a Ferrara da Verona all’inizio del XV secolo. Nei primi anni del ‘600, il cardinale Bonifacio Bevilacqua fece restaurare e abbellire il prospetto principale sul modello di quello realizzato da Giovan Battista Aleotti per Palazzo Bentivoglio nell’attuale via Garibaldi. Erano gli anni di transizione dal Manierismo al Barocco e gli ornamenti scolpiti ’all’antica’ sulle facciate dei palazzi nobiliari, erano un modo per dimostrare l’importanza delle famiglie e le loro capacità economiche. All’inizio dell’Ottocento il palazzo venne venduto alla famiglia Costabili che commissionò al pittore Francesco Migliari nuove decorazioni pittoriche sulle volte delle sale del piano nobile. Tra gli anni ’60 e ’70 del Novecento, vennero avanzate diverse ipotesi improprie per un suo riuso, per fortuna non realizzate. Oggi il palazzo è di proprietà del Comune di Ferrara, che l’ha concesso in uso gratuito all’Università degli Studi di Ferrara nel 1997. Dal 2006 è sede del Dipartimento di Economia e Management.
L’aspetto delle facciate fino a giugno 2021 era il risultato del restauro eseguito nel 2006, nell’ambito del complessivo e imponente intervento di recupero del palazzo per collocarvi la sede universitaria. Le superfici e le cromie erano state recuperate grazie a un lavoro di confronto con altri esempi simili, ma lo stato di conservazione, dopo quindici anni, era già compromesso soprattutto a causa dell’umidità di risalita. Il nuovo progetto di restauro è stata l’occasione non solo per risanare i danni dovuti all’azione dell’umidità, ma anche per riscoprire i materiali in cui tali decorazioni sono scolpite. "Il disvelamento di materiali così diversi e di molteplici tonalità di colore – spiega l’architetto Bonora – non poteva passare inosservato: se è vero che il cotto è un materiale povero e veniva quasi sempre trattato per sembrare più prezioso, questo non si può dire per le vere pietre utilizzate nel Seicento. Tutte diverse per colore e caratteristiche superficiali, rappresentavano una decorazione cromatica oltre che plastica. Questa scoperta ha portato, anche in collaborazione con l’arch. Keoma Ambrogio della Soprintendenza per l’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, a fare riflessioni sul progetto iniziale e si è scelta la strada di un restauro critico, che ha portato a scelte diverse da quelle operate nel 2006".
Sono state effettuate la pulitura e il consolidamento delle parti decorative e il rifacimento di ampie porzioni di intonaco con l’eliminazione delle parti in cemento e l’utilizzo della calce naturale, che si adatta all’architettura storica e ha un effetto risanante sul degrado dovuto all’umidità. "Dopo il lavoro conservativo – continua Bonora – il fondo intonacato è stato mantenuto chiaro ma sono state eliminate tutte le tonalità rosa-giallastre realizzando un bianco velato di grigio". Il coordinamento per la sicurezza è stato seguito dall’ingegnere Livia Burini, il responsabile unico del procedimento è stato l’ing. Giuseppe Galvan dell’Università di Ferrara, con l’assistenza dell’Ufficio Lavori Pubblici di Unife. La realizzazione delle opere è stata affidata all’impresa Spaccia di Perugia per i lavori architettonici e alla Coo.Be.C. Cooperativa Beni Culturali di Spoleto per il restauro specialistico. I lavori sono stati finanziati con i fondi derivanti dall’indennizzo assicurativo del Comune di Ferrara. "Ho il piacere di annunciare – commenta la rettrice Laura Ramaciotti – la conclusione di un lavoro con il quale, grazie al contributo collettivo di competenze e risorse, viene restituito alla città un ulteriore gioiello del patrimonio architettonico".
re.fe.