Ferrara, 13 gennaio 2025 – E adesso che succederà? Se la sono fatta in molti, ce l’hanno fatta in tanti questa domanda. Già, adesso, a 36 anni dalla morte, 10 di indagini, dopo due inchieste, oltre 230 testimoni escussi, tre iscritti per omicidio e altri 10 per falsa testimonianza, che ne sarà della verità sull’assassinio di Willy Branchi? La famiglia in primis e gli inquirenti – il pm Andrea Maggioni e i carabinieri del Nucleo Investigativo – hanno fatto tanto, basti citare il dato delle conversazioni registrate, ascoltate, sbobinate: 205.000. Tutto in un clima di vergognosa omertà. Non è bastato, ma si va avanti sotto traccia. Perché un cold case – un omicidio irrisolto – può avere un sussulto in ogni momento: ‘basta’ una parola di un testimone, un ricordo, un ritrovamento. Sarebbe fin troppo facile, vero. Ma qui il muro eretto e incollato nella calce da bugie, omertà, stupidità, coperture, diffamazioni, fantasie e tristissime favole (una delle tante: “Willy chi, quel ragazzo ucciso da una macchina?”) ad oggi sembra davvero invalicabile. Perlomeno dal punto di vista giudiziario, perché la verità storica è stata ampiamente ricostruita. Serve però di più e gli inquirenti lo sanno benissimo per potersi presentare davanti a un giudice – meglio, una Corte d’Assise – e dimostrare la validità della propria azione penale. Una sola volta, nell’omicidio Branchi, si è arrivati a un processo: imputato Valeriano Forzati, prosciolto l’8 febbraio 1990.
IL PODCAST / Willy Branchi. L’ultima verità
Tre piste. Riavvolgiamo il nastro per un attimo. È la notte tra il 29 e 30 settembre 1988 quando Willy, 18 anni, viene ucciso con una pistola da macello e il suo corpo, completamente nudo, abbandonato sotto il cartello di Goro lungo l’argine del Po. Un chiaro segnale? Secondo gli inquirenti, ci sarebbero pochi dubbi. ’Chi fiata, ecco la fine che farà’. L’inchiesta, riaperta nel 2014 (grazie a un’intervista del Carlino), nonostante la melma di silenzi e frottole, di strada ne ha fatta tanta scandagliando a fondo tre distinte piste che, non è escluso, potrebbero essere collegate. Prima: la droga. Willy usato, anche per via del suo deficit cognitivo, per consegnare partite di stupefacenti. Finito, per questo, in un brutto giro e alla fine divenuto testimone scomodo. Ucciso per una vendetta nei confronti del fratello.
Seconda: la pedofilia. Gli ultimi 10 anni di investigazioni hanno trovato tantissimi riscontri su minorenni adescati in cambio di 5-10mila vecchie lire, un profumo, scarpe. “Lo sa quanti ragazzi – disse un testimone – all’epoca sono stati violentati dai pedofili e oggi non parlano? Tra Goro e Gorino, quei maledetti hanno fatto un macello...” Pedofili che cercavano prede facili, in particolare ragazzi ’speciali’ come Willy. L’ultimo scenario porta a tre indagati per omicidio. Uno in particolare, emerso grazie a una lettera anonima del 2015, e residente a Oca Marina, frazione veneta poco distante da Goro. Un ex tossicodipendente psichiatrico con precedenti per rapina, lesioni, tentato omicidio del padre. Il quale potrebbe avere ucciso Willy per rubargli i soldi. E il pomeriggio del 29 settembre ’88, l’ultimo per Vilfrido, il diciottenne aveva circa 200mila lire. Possibile, però, che una sola persona possa avere commesso il massacro, iniziato lontano dall’argine, ai danni di un ragazzone di oltre 1.80 centimetri per 90 chili? La risposta è una sola: no. Gli ultimi sviluppi sono arrivati dalle buchette postali messe in quattro punti strategici dalla famiglia (il fratello Luca Branchi è rappresentato dall’avvocato Simone Bianchi) con la speranza di ricevere notizie anche anonime. Due delle quali (a Lido Nazioni e Lido Volano) rubate. In un caso è già stato individuato il responsabile, che ora dovrà spiegare il perché del gesto. Il secondo, invece, quasi. Il tempo stringe, anche davanti a 36 interminabili anni.