Ferrara, 12 settembre 2024 – C’è una verità ancora tutta da scrivere e che da 37 anni continua a sgorgare sangue. Quella di Pierpaolo Minguzzi, il carabiniere di leva di Alfonsine proveniente da una famiglia di imprenditori ortofrutticoli, in forza alla caserma di Bosco Mesola, rapito la notte tra il 20 e 21 aprile 1987 e ritrovato morto nel Volano, all’altezza di Codigoro, il primo maggio di quell’anno. Trentasette anni di dolore, rabbia, bugie, abboccamenti, tragedie. Ma con quel lumicino di speranza che mai si è spento e oggi, alle 9.30 nell’aula Bachelet della Corte d’Appello di Bologna, tornerà a riprendere vigore dopo la batosta datata 22 giugno 2022 fa quando il presidente dell’Assise di Ravenna, Michele Leoni, aveva assolto gli imputati Angelo Del Dotto, Orazio Tasca e Alfredo Tarroni. "Per non aver commesso il fatto", chiosò dopo un’oretta di camera di consiglio.
Famiglia coraggio
"La speranza – sussurra Anna Maria Minguzzi, sorella di Pierpaolo – resta sempre, nonostante tante delusioni. In questa maledetta vicenda, i punti oscuri sono troppi". Oggi lei, il fratello maggiore Giancarlo e mamma Rosanna Liverani, saranno in aula con gli avvocati Luca Canella, Paolo Cristofori ed Elisa Fabbri. "Il materiale probatorio – spiega proprio Canella – che la Procura ha presentato assieme al contributo della parte civile, dal nostro punto di vista era ed è sufficiente per arrivare a una condanna degli imputati. Nel nostro atto d’appello abbiamo chiesto una rinnovazione della perizia fonica sulle telefonate agli atti (quelle ricevute dalla famiglia Minguzzi a scopo estorsivo, ndr)". Era la sera del 20 settembre 1987 quando Rosanna, che oggi ha 91 anni, salutò per l’ultima volta il suo Pierpaolo come raccontò lei stessa in una commovente video intervista al nostro giornale (la potrete vedere inquadrando il qr-code sotto): "Uscì – le sue parole – verso le 9 con amici per andare al bowling di Imola. Lo accompagnai in veranda, mi diede un bacio che ancora sento sulla mia guancia. Ricordo i fari della sua auto che si allontanarono, poi...". Poi il buio, l’angoscia, la sofferenza. "Quando mi sentirono come teste – aggiunse ancora –, ero piena di speranza. Non giudico chi ha giudicato nel processo, ma non capisco come mai la Procura avesse chiesto l’ergastolo, mentre la Corte ha cambiato così radicalmente il finale. Oggi i colpevoli dell’omicidio non ci sono, questa è la triste verità".
“Né prove nè indizi”
Nell’impugnare la sentenza di assoluzione, la Procura ha chiesto la rinnovazione del processo. "Ci aspettiamo – continua l’avvocato Canella – che venga approfondito meglio tutto e che si arrivi a un giudizio il più possibile preciso". La Corte ravennate, nel motivare le assoluzioni, precisò addirittura che il casolare abbandonato (a Vaccolino) non era il luogo del delitto, non vi erano prove nè indizi sulla responsabilità dei tre imputati e non era neppure certo che si trattò di un rapimento a scopo estorsivo. Perché quello del 21enne carabiniere "fu un omicidio di stampo mafioso", un "classico esempio di lupara bianca". Tanto che l’eliminazione "avvenne con un rituale simbolico e tipico della mafia".
“Indagini errate”
L’avvocato Canella ritorna al principio, alle prime ricerche dell’87: "Riteniamo che se le indagini all’epoca dei fatti fossero state condotte con maggiore attenzione – chiosa –, così come evidenziato dai testi sentiti nel processo di primo grado, non solo si potevano catturare gli autori del rapimento e sequestro di Pierpaolo, ma con ogni probabilità saremmo riusciti ad evitare la morte del carabiniere Sebastiano Vetrano". Ucciso nel conflitto a fuoco durante un appostamento, la notte del 13 luglio 1987, relativo all’indagine per la tentata estorsione di un altro imprenditore ortofrutticolo di Alfonsine, Roberto Contarini. Una vicenda ’fotocopia’ a quella che coinvolse i Minguzzi e che vide gli stessi imputati, in quel caso però condannati.