REDAZIONE FERRARA

Matteotti, una passione, gli affreschi salvati: "Quei capolavori nascosti fino al 1996"

Oggi la conferenza di Lucio Scardino in Sala Estense, che indaga l’amore per l’arte ferrarese del politico assassinato nel 1924

Matteotti, una passione, gli affreschi salvati: "Quei capolavori nascosti fino al 1996"

Oggi la conferenza di Lucio Scardino in Sala Estense, che indaga l’amore per l’arte ferrarese del politico assassinato nel 1924

Molto spesso, la salvezza dell’arte – minacciata nei secoli da ondate iconoclaste, guerre, scorrerie, conquiste – dipende dall’azione di uomini di potere o di politici illuminati. Successe così, nella Firenze del Seicento, quando gli affreschi di Masaccio alla cappella Brancacci, minacciati di essere distrutti da un mercante di schiavi che prediligeva il barocco, vennero salvati da "una lega di difesa contro il minacciato vandalismo" e dalla granduchessa Vittoria della Rovere. Con la stessa prospettiva di salvare tanto l’arte, quanto i valori che esprimeva, pare abbia agito Giacomo Matteotti a Ferrara, una volta divenuto, alla fine del 1920, nuovo segretario della Camera del Lavoro cittadina. Una storia curiosa, che coinvolse degli originalissimi affreschi, tuttavia poco conosciuta. A raccontarla, in un’inedita conferenza, sarà lo storico e critico d’arte Lucio Scardino. L’incontro, dal titolo ‘Giacomo Matteotti estimatore dell’arte ferrarese. La decorazione della Camera del lavoro 1919-1921’ è patrocinato dal Comune e dalla ProLoco e si terrà oggi alle 16, con ingresso libero, alla Sala Estense.

Lucio Scardino, a cosa è dovuto il titolo dato alla conferenza?

"Ho scoperto che Matteotti conosceva e stimava la pittura ferrarese, antica e moderna, da testimonianze sinora non sondate a sufficienza. Anzitutto, entrando nella sua casa-museo a Fratta Polesine ci si imbatte in un quadro di Giovanni Battista Crema, un paesaggio con un ponte di vago sentore divisionista eseguito dall’artista ferrarese attorno al 1920. Lo stesso anno, cioè, in cui Matteotti commemora originalmente alla Camera il geniale Gaetano Previati: un originale tributo, che ne documenta la conoscenza diretta".

Ma Matteotti amava e conosceva anche l’arte ferrarese antica?

"Certo, tanto è vero che nell’ottobre 1920 portò in gita a Ferrara operai e contadini polesani, ai quali fece da guida. Li condusse a Schifanoia, in Castello, in Certosa e in alcune chiese. Lo testimonia un suo articolo, che leggerò alla conferenza".

Altre testimonianze bibliografiche sull’amore per l’arte ferrarese?

"Ad esempio, Mirko Grasso nel suo recente volume ‘L’oppositore’ sostiene significativamente che nel 1916 Matteotti studiò l’opera di Dosso Dossi".

Nonostante i gravosi impegni ministeriali e sindacali?

"Credo che egli si dedicò a questo approfondimento estetico soprattutto dopo il matrimonio con Velia Titta, una scrittrice e autrice di poesie di gusto pascoliano e di un paio di romanzi: uno di questi, rimasto inedito, non a caso fu dedicato a Ugo e Parisina. Giunto a Ferrara nel gennaio 1921 quale segretario della Camera del Lavoro, Matteotti avrebbe poi compiuto un singolare salvataggio di una opera d’arte in quel turbolento periodo".

Ci spiega meglio?

"Penso che si debba a lui la controsoffittatura della sala in cui Ildebrando Capatti e Leone Caravita avevano raffigurato scene del lavoro assieme a vari segni zodiacali. Insomma, una Schifanoia socialista che non è stata vandalizzata dai fascisti proprio grazie a questa copertura, che l’ha nascosta fino al 1996, preservando un unicum iconografico. Di questo e altro parlerò sabato alla Sala Estense, presentando anche questa decorazione superstite del tempo di Matteotti a Ferrara".

Francesco Franchella