Mentre l’intero Paese piombava nell’incubo pandemia e i dispositivi di protezione erano praticamente introvabili, le mascherine chirurgiche prodotte da quell’azienda veneta sembravano una manna dal cielo. Peccato però che, secondo le accuse, non sarebbero state conformi alle normative in vigore per quel tipo di prodotti. In particolare, stando a quanto ricostruito dalla guardia di finanza, i responsabili della società avrebbero tentato di far passare quei dispositivi come presidi medici quando in realtà non lo erano affatto. Nel frattempo, però, quelle mascherine erano state acquistate da clienti e pubbliche amministrazioni di mezzo Nord Italia. Tra gli acquirenti, anche il Comune di Ferrara, le Farmacie comunali e il carcere dell’Arginone. A quattro anni dallo scoppio dell’emergenza Covid, il ‘caso mascherine’ è approdato in un’aula di tribunale. Le indagini delle fiamme gialle avevano infatti portato all’apertura di un procedimento penale per i reati di frode nell’esercizio del commercio e frode nelle pubbliche forniture. Imputati il legale rappresentante della ditta che produceva le mascherine, un veneziano di 63 anni, e la figlia e collaboratrice dell’uomo, una quarantene anch’essa residente nel Veneziano. La vicenda che li vede sotto accusa è giunta di recente davanti al gip di Venezia Claudia Maria Ardita, davanti al quale i due imputati hanno patteggiato la pena. Per entrambi sono stati quindi stabiliti cinque mesi e quindici giorni di reclusione più ottocento euro di multa (pena sospesa). Il giudice ha inoltre stabilito il pagamento delle spese legali per il Comune di Ferrara (costituitosi parte civile con l’avvocato Vittorio Zappaterra) con risarcimento del danno da definire in separata sede.
La vicenda al centro del processo risale al 2020, in particolare da febbraio, mese in cui l’Italia ha iniziato a fare pesantemente i conti con il virus, fino a dicembre. Sono numerosi gli enti che, in quel periodo, hanno acquistato mascherine chirurgiche. In un breve lasso di tempo, l’azienda ne fornì oltre quattro milioni, ricavando quasi tre milioni di euro. Per quanto riguarda le sole pubbliche amministrazioni (da cui l’imputazione di frode nelle pubbliche forniture), gli imputati avrebbero fornito più di 348mila pezzi con la dicitura ‘Mascherina chirurgica-dispositivo medico monouso classe I, conformità Ce’ e dichiarazioni di conformità risultate false. Gli articoli, come anticipato,finirono in mezzo Nord Italia, da Brescia a Padova passando per Venezia, Belluno, Lecco e Reggio Emilia. Per quanto riguarda Ferrara, le chirurgiche non conformi andarono al Comune (600 pezzi), alle farmacie comunali (4.500 pezzi) e alla casa circondariale (seimila pezzi).
f. m.