MARIO BOVENZI
Cronaca

L’ultimo testimone: "Vassallo non era un eroe. Non merita la medaglia"

Uber Bellettini, 90 anni, era ragazzo quando a Filo venne ucciso il carabiniere "Mio padre fucilato dai fascisti ma non provo odio. Basta con il passato".

Uber Bellettini, 90 anni, ha gestito per una vita il distributore di benzina a Filo Il padre è stato ucciso dai fascisti

Uber Bellettini, 90 anni, ha gestito per una vita il distributore di benzina a Filo Il padre è stato ucciso dai fascisti

L’altro giorno, al funerale c’era tanta gente, il paese di Argenta ha detto addio a Elio Squarzoni, 90 anni. "Sì, sono venuti in tanti per salutarlo per l’ultima volta. Era una persona buona, un agricoltore. Amava giocare a carte, era bravo a biliardo, era stato anche un calciatore. Ora sono rimasto solo io". Solo lui Uber Bellettini, 90 anni,i capelli grigi, un po’ lunghi sulle spalle, l’espressione franca. "Sono rimasto l’unico testimone dell’orrore che ha vissuto Filo. Della strage dell’otto settembre del 1944, quando i fascisti uccisero dieci cittadini. Tra questi mio padre". Unico testimone di quei giorni cupi, quando tornò dalla Germania Giuseppe Vassallo, nato nel 1906, ucciso l’8 maggio 1945 in quel grappolo di case lungo la strada, frazione d’Argenta. Non si diradano i dubbi. Sulla prigionia di Vassallo in un campo di concentramento in Germania; non spariscono le ombre sulla vicinanza alla Guardia nazionale repubblicana. Ombre anche su quel gruppo di persone armate che la stessa notte uccisero Vassallo e Pietro Bertuzzi, iscritto al partito fascista, a capo di quello che allora era una sorta di ufficio di collocamento. "Era un’epurazione, una vendetta. In quegli anni facevano così", scandisce le parole Uber Bellettini, al tavolo di legno della sua abitazione. Dice pane al pane, vino al vino. "Vassallo non era un eroe, non merita una medaglia. Capire chi l’ha ucciso? Io dico basta, dobbiamo mettere una pietra tombale su quei giorni così tragici, lasciare che una ferita si chiuda". E’ vivo per miracolo. Quell’8 settembre 1944 – questa la data che fa piangere ancora Filo – insieme a suo padre furono prelevati lui e suo fratello. "Io avevo 14 anni – ricorda – mio fratello, si chiamava Ibanez ne aveva 16. Ci portarono al bar centrale". Così si chiamava quello che adesso è il bar ’Al portico’. Una rappreseglia, era stato ucciso un tedesco. "ll 7 settembre 1944 venne ucciso un soldato tedesco – la sua memoria uno scalpello che incide il passato, porta alla luce retroscena –. Un gruppo di persone era andato nell’abitazione di Antonio Tamba, volevano dei soldi, non era altro che una rapina. Lui disse che aveva già pagato, disse che aveva anche una ricevuta di quel pagamento. Ci furono urla, i cani si misero ad abbaiare. In quel momento passò quel tedesco e qualcuno fece fuoco". I tedeschi prelevarono 25 uomini e ragazzi, li portarono in una saletta del bar. Quattro ragazzini – tra questi Uber e suo fratello – furono liberati dopo essere stati interrogati, gli altri trasferiti nelle scuole elementari. Il comando tedesco convocò un ‘Triumvirato della morte’, tre gerarchi fascisti che avrebbero dovuto scegliere chi condannare alla fucilazione. Alle 16 un camion prelevò i dieci condannati, partendo per Filo. Al ponte della Bastia sul fiume Reno, sulla statale 16, vennero fatti scendere ed uccisi Beppino Andalò, Alfonso Bellettini, Alfredo Bolognesi, Antonio Coatti e Felice Diani. Gli altri cinque vennero portati al centro del paese. Uno di loro, sfollato da poco da Faenza, convinse i tedeschi che non aveva niente a che fare con l’uccisione del soldato: fu liberato. Al suo posto Arturo Soatti, ucciso con un colpo alla nuca assieme a Giorgio Marconi (il più giovane, che per due volte spostò la testa evitando la pallottola ma che fu freddato con un colpo in bocca dopo averlo preso per i capelli), Luigi Matulli, Enrico Nuvoli ed Amerigo Quattrini. "Mio padre aveva 39 anni, venne ucciso sul ponte della Bastia". Giuseppe Vassallo, c’è un’istruttoria in corso chiesta da Anpi e Comune di Argenta. Uber non ha dubbi. "Lo vedevo su un sidecar, lo guidava un tedesco. Andava di casa in casa a portare il precetto ai renitenti alla leva, li minacciava. ’Se non vi arruolate passerete un guaio voi e le vostre famiglie’. Non posso definirlo un eroe, non merita la medaglia d’onore. E non voglio nemmeno più sapere chi l’ha ucciso. Sono trascorsi tanti anni, basta. In paese la famiglia di Vassallo era benvoluta, non c’era odio, avevo ottimi rapporti con i figli Maria e Angelo. Sono cose vecchie, decrepite. Non ha più valore sapere la verità, io non la voglio più sapere".